Dall’11 al 22 novembre, si svolgerà a Baku, in Azerbaijan, la 29esima Conferenza ONU sul clima (COP29). È un momento critico segnato dalle guerre, dall’avanzamento delle destre nazionaliste, negazioniste e xenofobe, dall’aumento delle disuguaglianze e dalla crisi democratica. Mentre abbiamo in testa e nel cuore le immagini della tragedia di pochi giorni fa nella regione di Valencia, il rapporto Copernicus attesta che il 2024 sarà l’anno più caldo di sempre e che stiamo già superando la soglia di 1.5°C. Il rapporto di sintesi dell’organismo per la convenzione sul cambiamento climatico dell’ONU (UNFCCC), predisposto per la COP29, dimostra che, se gli impegni assunti dalle parti venissero pienamente attuati, cosa altamente improbabile, le emissioni al 2030 sarebbero ridotte solo del 2,6% rispetto ai livelli del 2019. Gli scienziati dell’IPCC, però, ci dicono che per rispettare l’obiettivo di 1.5°C è essenziale un taglio delle emissioni al 2030 del 43% rispetto ai livelli del 2019. Per dirla con il commento del segretario esecutivo dell’UNFCCC Simon Stiell, gli impegni assunti (NDC) sono lontanissimi da ciò che serve per impedire che il riscaldamento globale paralizzi economie e distrugga miliardi di vite e mezzi di sussistenza in ogni paese.
In questo contesto il movimento globale per il clima parteciperà alla COP29 per chiedere a tutti i governi del mondo di agire per la giustizia climatica e sociale e per un cambiamento rapido e urgente di sistema.
La COP deve prendere decisioni importanti su temi che hanno un impatto profondo sulla vita, il lavoro e il futuro delle persone. Eppure, molti leader hanno annunciato che non parteciperanno e Donald Trump, neoeletto presidente degli Stati Uniti d’America, ha affermato che uscirà nuovamente dall’Accordo di Parigi, come aveva già fatto nel suo primo mandato. La COP29 sarà focalizzata sulla finanza climatica. I governi dovrebbero concordare sull'adozione di un nuovo obiettivo di finanziamento per il clima (NCQG) che sostituirà il precedente, e disatteso, obiettivo annuale di 100 miliardi di dollari stabilito nel 2009 a Copenhagen. Il nuovo obiettivo dovrà tenere conto delle esigenze e delle priorità dei paesi in via di sviluppo, stimate tra 5,8 e 5,9 trilioni di dollari fino al 2030. In questo contesto, i paesi del Nord globale devono assumersi le proprie responsabilità storiche e pro-capite di emissioni e di sfruttamento, adottare obiettivi finanziari più ambiziosi ed agire con maggiore rapidità e determinazione per l’uscita dalle fonti fossili.
La conferenza deve avanzare anche nel programma di lavoro per la giusta transizione, coniugando la dimensione climatica con quella socioeconomica, per agire una transizione urgente della forza lavoro e la creazione di posti di lavoro dignitosi e di qualità, attraverso la partecipazione e la contrattazione, la protezione sociale e il riconoscimento dei diritti del lavoro, affinché nessuno sia lasciato indietro.
La conferenza sarà anche un'opportunità per sollevare questioni internazionali molto urgenti: innanzitutto fermare le guerre e dare piena attuazione alla risoluzione dell’ONU del 18 settembre 2024, perché pace, disarmo e diritti umani sono precondizioni per affrontare con efficacia la crisi climatica e ambientale.
Il 15 e 16 novembre, il movimento globale per il clima si mobiliterà a Baku e in varie città, paesi e comunità in tutto il mondo per aumentare la pressione sui governi, sulle istituzioni e sulle aziende per costringerli a intraprendere azioni urgenti per il clima.
In Italia la mobilitazione nazionale si svolgerà il 16 novembre a Roma. Con un Climate Pride che partirà alle ore 15 da Piazza Vittorio e darà vita a una street parade gioiosa, creativa e ribelle. Sono oltre 50, fra cui la CGIL, le associazioni e i movimenti che si sono uniti per chiedere un cambio di rotta radicale nelle politiche energetiche e ambientali. Il Pride sarà un’occasione per sensibilizzare l’opinione pubblica e per sollecitare i
decisori politici sull’urgenza di abbandonare un modello di sviluppo basato sui combustibili fossili, responsabile di ingiustizie sociali, disastri ambientali e conflitti a livello globale.
Il Climate Pride non sarà solo protesta, ma anche una celebrazione della resilienza della natura e delle comunità che si battono per un futuro sostenibile e per una giusta transizione energetica, per lanciare il messaggio che è possibile costruire un mondo più giusto ed equo, in armonia con l’ambiente, e ribaltare la narrazione antropocentrica, che vede la Terra come una risorsa infinita da sfruttare, promuovendo invece una visione armoniosa e inclusiva che mette al centro la giustizia climatica e sociale, i diritti, la pace e il lavoro.