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Si è chiusa la prima settimana di negoziati della 27esima conferenza delle parti sul clima dell’ONU. La COP è partita all’insegna dei diritti umani negati, motivo per cui molte organizzazioni e attivisti fra cui la CGIL hanno deciso di non partecipare. La COP27 è segnata anche dall’assenza di alcuni grandi emettitori: Cina, India e Russia e dalla presenza di oltre 600 lobbisti di combustibili fossili, 25% in più rispetto all’anno scorso. La conferenza è partita domenica 6 novembre. Il segretario generale delle Nazioni Unite Guterres, intervenuto in apertura ha lanciato il grido di allarme sulla catastrofe climatica in atto: “Siamo su un’autostrada verso l’inferno climatico con il piede premuto sull’acceleratore”. Recenti rapporti infatti ci dicono con chiarezza che siamo molto lontani dal raggiungere l’obiettivo di 1,5°C, e la crisi energetica, invece di accelerare la transizione energetica, sta rafforzando ulteriormente l’utilizzo delle fonti fossili.
Il 7 e l’8 novembre si è tenuto lo “Sharm El-Sheikh Climate Implementation Summit” con la presenza di molti leaders politici, fra cui il Presidente del Consiglio Meloni, e del Presidente egiziano Abdel Fattah El-Sisi. Meloni ha parlato in plenaria di “momento decisivo nella lotta ai cambiamenti climatici” ma in Italia il suo Governo aveva appena deciso il via libera a nuove trivellazioni nel quarto Decreto Aiuti. Il summit di alto livello ha articolato la discussione in sei tavole rotonde con specifici documenti sui temi di: giusta transizione, sicurezza alimentare, finanza innovativa per il clima e lo sviluppo, idrogeno verde, sicurezza idrica, cambiamenti climatici e sostenibilità delle comunità vulnerabili. In settimana sono proseguiti i negoziati ma su molte questioni ancora non c’è consenso, fra queste:
Loss and damage (perdite e danni): ci si riferisce ai costi di riparazione dei danni causati dal cambiamento climatico. I paesi più colpiti sono quelli in via di sviluppo fra cui il Pakistan, il Bangladesh, le Filippine, i piccoli paesi insulari e un gran numero di paesi africani. L’istituzione del fondo è una questione di riparazione e di giustizia sociale. La finanza per perdite e danni dovrebbe fornire finanziamenti aggiuntivi, rispetto al fondo per la mitigazione e l’adattamento, facilmente accessibili e a fondo perduto. I piccoli stati insulari e i paesi in via di sviluppo sono riusciti per la prima volta a far inserire l’argomento nell’agenda formale del vertice e stanno spingendo per la creazione di un fondo dedicato. Mia Mottley, primo ministro delle Barbados ha chiesto che a pagare siano le compagnie petrolifere. Un’ipotesi, in linea con il principio “chi inquina paga”, che potrebbe attingere da una quota dei cospicui profitti dell’industria oil&gas.
La COP27 dovrebbe definire un meccanismo ad hoc per il Loss and damage, che dovrebbe essere operativo dal 2024, definendo anche beneficiari e condizioni. Europa e Stati Uniti, però, non considerano, la creazione di un nuovo fondo una priorità da affrontare in questa conferenza, anche se alcuni paesi europei: Scozia, Danimarca, Germania, Austria, Irlanda e Belgio si sono impegnate a stanziare fondi.
Finanza per il clima. I paesi in via di sviluppo chiedono un miglioramento sostanziale dei finanziamenti per il clima a partire dagli impegni del 2009. Quell’anno, nella COP15 di Copenaghen, i paesi sviluppati si erano impegnati a mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare gli effetti del cambiamento climatico. Questo obiettivo non è stato ancora raggiunto (es. nel 2020, i paesi sviluppati hanno raccolto 83,3 miliardi di dollari). I paesi in via di sviluppo chiedono adesso ai paesi ricchi di accettare un nuovo obiettivo globale di finanziamento, mettendo in evidenza la necessità di supporto finanziario, tecnologico e di rafforzamento delle capacità da parte dei paesi sviluppati, per realizzare tutti gli impegni degli NDC e facendo presente che 100 miliardi di dollari sono insufficienti considerato che recenti studi stimano fra i 6000 e gli 11000 miliardi di dollari il fabbisogno finanziario necessario da qui al 2030 per raggiungere gli obiettivi fissati dai paesi in via di sviluppo nei loro contributi determinati a livello nazionale (NDC). I paesi in via di sviluppo propongono un nuovo obiettivo quantificato collettivo sui finanziamenti per il clima (NCQG), che dovrebbe essere un fondo incrementato a lungo termine, agevolato e ripartito equamente fra progetti di adattamento e di mitigazione. Al momento sulla finanza quasi tutti i punti all’ordine del giorno sono irrisolti.
Adattamento. E' stata lanciata l’agenda di adattamento di Sharm-El-Sheikh: un’agenda globale e condivisa per mobilitare l’azione globale intorno a 30 risultati di adattamento per migliorare la resilienza di 4 miliardi di persone che vivono nelle comunità più vulnerabili dal punto di vista climatico entro il 2030. Ciascun risultato presenta soluzioni globali che possono essere adottate a livello locale per rispondere ai crescenti rischi climatici, come caldo estremo, siccità, inondazioni o condizioni meteorologiche estreme. I 30 risultati includono obiettivi globali urgenti: il passaggio a un’agricoltura sostenibile e resiliente al clima che può aumentare i raccolti del 17% e ridurre le emissioni di gas serra (GHG), proteggere e ripristinare circa 400 milioni di ettari in aree critiche, proteggere 3 miliardi di persone installando sistemi intelligenti e di allerta precoce, investire 4 miliardi di dollari per garantire il futuro di 15 milioni di ettari di mangrovie, mobilitare da 140 a 300 miliardi di Dollari USA attraverso fonti pubbliche e private per l’adattamento e la resilienza. La discussione proseguirà prossima settimana.
Articolo 6. L’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi definisce i principi di cooperazione volontaria per raggiungere gli obiettivi climatici. Il paragrafo 2 prevede un meccanismo di mercato del carbonio per gli scambi tra singoli Stati. Per esempio nel caso in cui uno Stato con un progetto di riforestazione venda ad un altro Stato le emissioni assorbite dalle foreste. Questi scambi dovrebbero contribuire al raggiungimento degli impegni di riduzione delle emissioni (NDC) ma non c’è ancora accordo sulle modalità di registrazione e su come evitare un doppio conteggio. Il paragrafo 4 dell’articolo 6 prevede l’istituzione di un organo di supervisione sul mercato del carbonio. Anche su questo punto non c’è accordo e la negoziazione continuerà settimana prossima. C’è invece accordo sul paragrafo 8 per gli approcci non di mercato, ovvero di collaborazione fra gli stati per mitigare le emissioni.
Programma di lavoro per aumentare urgentemente l’ambizione e l’attuazione della mitigazione in questo decennio. E’ forse proprio su questo versante che si registrano le maggiori criticità. Il testo che affronta queste questioni, aggiornato alle ore 18 del 12/11/2022, è ancora pieno di frasi scritte fra parentesi, ovvero su cui non c’è consenso, e su diversi punti ci sono due o tre opzioni di lavoro contrapposte.
Agricoltura e sistema alimentare. E’ ancora molto trascurato il tema dell’agricoltura, sia in termini negativi (la produzione alimentare rappresenta circa un terzo delle emissioni globali di gas serra, deforestazione, ecc.) che positivi (assorbimenti). In particolare non c’è dibattito sull’impatto della produzione animale sul clima e sulla necessità di una giusta transizione verso un sistema alimentare a base vegetale.
E’ evidente che siamo molto distanti da quell’azione urgente e trasformativa che sarebbe necessaria e per la quale la CGIL è impegnata da anni. Rispetto dei diritti umani, azione climatica, equità e giustizia sociale, pace, sono temi interconnessi a cui sembra certo ormai che anche questa COP non riuscirà a dare un contributo significativo. Anche per questo dovremmo intensificare il nostro impegno!