La cronaca degli ultimi giorni ha svelato un nuovo business del riciclo. Durante le ultime settimanesono stati scoperti numerosi capannoni industriali dismessi intasati di rifiuti nella zona di Rimini,nel torinese, nel milanese ed in Sardegna. La scorsa settimana il Sole24Ore, infatti, segnalava datiallarmanti su questa “nuova” pratica. In base a quanto riportato dal quotidiano, il fenomeno èlargamente diffuso e solo negli ultimi cinque anni si registrano quasi 500 incendi, molti dei qualiriconducibili allo stesso.Gli impianti di rigenerazione si intasano e si fermano, anche a seguito del blocco delle esportazioneverso la Cina, così imprese-fantasma rispondono alla domanda non soddisfatta, prendono in affittocapannoni vuoti e li riempiono velocemente di materiali da riciclare che non trovano il mercato delriciclo. Queste imprese, incassati i soldi per ritirare i materiali, si dissolvono senza pagare affitto esmaltimento, lasciando l’incomodo ai proprietari.Nel caso degli incendi, le ragioni sono molteplici e, quasi sempre hanno lo scopo di evitare uncontrollo imminente o a fare sparire le prove di illeciti più gravi, di un traffico più complesso, adesempio legato a tipologie irregolari di rifiuti.Il problema nasce dall’abbondanza dei materiali rigenerabili di qualità modesta raccolti daicittadini, cui però manca un mercato a valle che possa chiedere prodotti riciclati. La situazione èoltremodo grave ed inammissibile, in quanto il fenomeno è favorito dalla paralisi del mercato,dettata da norme “ambientalistiche” nemiche del riciclo. La legislazione in materia è infatticontraddittoria, difficile da comprendere ed applicare, lasciando ampio margine all’interpretazione.Negli ultimi anni abbiamo più volte denunciato l’immobilismo politico dei governi che si sonosucceduti in merito ad una tematica di fondamentale importanza. Basti pensare alla recentesoppressione, con un colpo di spugna, del sistema di tracciabilità dei rifiuti SISTRI.A seguito di tale abolizione, i soggetti tenuti ad effettuare la tracciabilità dei rifiuti effettueranno gliadempimenti secondo il tradizionale metodo cartaceo “MUD”. Dopo quasi dieci anni, un costo di141 milioni di euro, il Sistri ha cessato di esistere, pur non avendo mai funzionato.Il sistema era nato con il nobile scopo di combattere gli interessi delle ecomafie, migliorare latracciabilità dei rifiuti e semplificare la vita degli interessati. Reputiamo inammissibile la suaabolizione, soprattutto alla luce dei recenti eventi incendiari, che vedono il nostro paesetrasformarsi sempre più in una diffusa “terra dei fuochi”.La corretta gestione dei rifiuti ed il relativo materiale di riciclo rappresenta per il nostro Paese unaquestione di notevole rilievo, e tuttora irrisolta. La mancanza di un piano nazionale globale ed ilmancato adeguamento alle normative europee rappresentano le principali criticità da superarenell’immediato futuro.La Cgil, con la propria Piattaforma, ha rilanciato e rilancia le proprieproposte: Incentivare la creazione della filiera industriale del riutilizzo delle materie riciclate dariutilizzare nei processi produttivi. Chiediamo ancora un serio confronto con le istituzionicompetenti per la messa in atto di una politica di gestione integrata con il minor impatto possibilesull’ambiente. Infatti, solo riducendo al minimo la quantità di rifiuti, e raggiungendo valoriadeguati, ed in linea con l’Europa, si può salvaguardare l’ambiente e le popolazioni che lo abitano.
Rifiuti: la paralisi normativa ed il nuovo business dello stoccaggio nei capannoni
11 marzo 2019 • 14:35