Pubblicata in Gazzetta Ufficiale (GU n. 186 del 09.08.2024) la conversione in legge del d.l. 4 luglio 2024, n. 92, recante misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della Giustizia.

Il capo I reca previsioni che riguardano il personale.

Le assunzioni di 1000 agenti risultano del tutto insufficienti rispetto alle carenze organiche rilevate. Lo stesso capo del DAP, Giovanni Russo, evidenziava una scopertura del 16% degli organici: sono presenti 35.717 unità su un totale di 42.850 in organico. A rendere ancora meno incisiva la disposizione, è il fatto che le assunzioni non saranno immediate, ma ne sono previste 500 nel 2025 e 500 nel 2026. Anche la riduzione della durata della formazione rischia di pregiudicare una fase delicatissima in cui si formano operatori che rivestono un ruolo specifico, vista la complessità e le necessità di preparazione umana e professionale per operare in un  ambiente così particolare.

Riducendo la formazione di ingresso, ad essere ridotte saranno proprio quelle materie teoriche necessarie per assumere una piena  consapevolezza di un ruolo che non è solo securitario. Nulla è previsto poi per quanto riguarda l’incremento di altre figure per le quali da tempo si registra una grave e cronica carenza, quali educatori, mediatori culturali, psicologi, funzionari giuridico-pedagogici, fondamentali nel percorso di recupero, reinserimento e risocializzazione delle persone ristrette. E’ chiara l’impostazione esclusivamente securitaria di un governo che pensa di assumere solo agenti, peraltro con un provvedimento di facciata, visto il pesante sottorganico da tutti denunciato.

Il capo II contiene disposizioni in materia penitenziaria, di diritto penale e per l’efficienza del procedimento penale.

Da tempo la CGIL chiede provvedimenti normativi in grado di incidere concretamente sul cronico e grave sovraffollamento carcerario, e sulle condizioni delle carceri, da un punto di vista anche strutturale. Nessun provvedimento concreto è però previsto nel decreto legge, che interviene esclusivamente per modificare le modalità e le tempistiche, l’iter per concedere la normale liberazione anticipata, peraltro con interventi che rischiano di prestarsi ad interpretazioni dai risvolti pratici non chiarissimi, che potrebbero complicare il lavoro degli Uffici di Sorveglianza e delle Procure. È quindi una norma che non incide sul quantum di pena da scontare, non avrà nessun effetto concreto sul sovraffollamento, sulla vita dei detenuti. Del resto, lo stesso Ministro ha dichiarato che misure davvero deflattive si possono configurare come indulgenze gratuite, come “incertezza della pena” che mina l’autorevolezza dello stato.

La nomina di un Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, che resterà in carica fino a dicembre 2025, parla di una visione basata sulla costruzione di nuovi istituti, ma non serve costruire nuove carceri, destinate a riempirsi se non si adottano altre misure: una figura come questa già è stata prevista in passato, e senza successo.

La modifica del numero delle telefonate, peraltro solo annunciata, perché rinviata ad un successivo regolamento attuativo, è un altro provvedimento assai poco incisivo, e di facciata. Le telefonate passeranno da 4 a 6 al mese, ma già oggi i direttori delle carceri hanno piena deroga per far telefonare le persone in misura maggiore di quanto previsto dal regolamento penitenziario. Ed ancora più grave appare, in un provvedimento che si vuol far passare come diretto all’umanizzazione della pena, che nessuna disposizione vada nella direzione di dare corretta e compiuta applicazione alla sentenza della Corte costituzionale di gennaio scorso, che riconosce appieno il diritto all’affettività ed ai colloqui intimi per le persone ristrette.

Le modifiche all’art. 41 bis peggiorano, di fatto, questo regime di detenzione, che avrebbe invece, ad oggi, bisogno di una revisione in senso meno afflittivo, aggiungendo ai divieti già previsti, e già oggetto di due interventi della Corte costituzionale, il divieto assoluto di accesso ai programmi di giustizia riparativa, non valutandone caso per caso l’opportunità, ed inficiando così proprio il senso della giustizia riparativa.

L’articolo 8, che detta disposizioni per le strutture residenziali di accoglienza, presenta anch’esso profili di problematicità, non sono chiare le modalità di attuazione che richiederanno comunque tempi non brevi, e non è chiaro il ruolo attribuito alle comunità, che non sono e non possono essere strutture detentive. In tali strutture dovrebbero essere accolte non solo persone con problemi di dipendenza, ma anche senza dimora, o in situazioni di particolare fragilità, assicurando standard tecnici di sicurezza, insieme a percorsi di reinserimento. Nella sostanza l’articolo non pare modificare in maniera significativa l’esistente, resta comunque da capire come e con quali criteri le comunità verranno accreditate, e con quali risorse finanziate. Poiché il rimando è ad un regolamento da emanarsi entro 6 mesi, è a quello che si dovrà far riferimento per valutare la portata effettiva del provvedimento, e rilevare concretamente gli elementi di criticità.

Il giudizio complessivo non può che essere quello di un provvedimento che non avrà nessun effetto sul miglioramento delle condizioni di vita, e di lavoro, negli istituti penitenziari, che non inciderà in nessun modo sul sovraffollamento e che non renderà più umana la pena, più dignitosa la detenzione. Sarebbero, invece, indispensabili interventi rivolti prima di tutto a ridurre in maniera drastica il sovraffollamento. Senza una riforma complessiva, in grado di incidere seriamente sulle condizioni di vita e di lavoro all’interno delle carceri, la situazione può solo peggiorare. Niente di tutto questo nel decreto, che rimanda ad una visione del carcere dove prima di tutto sorvegliare e punire soggetti in qualche modo considerati pericolosi per la società, da allontanare in luoghi separati. La “certezza della pena” intesa solo come afflizione.

E’ questo un provvedimento che non tiene conto né della realtà, né della Costituzione, ma questo è il governo che la vuole stravolgere.

Il giudizio sulla legge non può che essere negativo, nella misura in cui non produce nessuno dei cambiamenti indispensabili per migliorare il sistema, e le condizioni di tutte le persone che vivono il carcere, chi vi è ristretto e chi vi lavora. Una legge che non risolve (neanche affronta) i gravi problemi della detenzione: il sovraffollamento in primis, che non si risolve costruendo nuove carceri. La funzione attribuita alla pena dalla Costituzione resta un principio inapplicato, se non si interviene per garantire il diritto alla formazione, alla salute, al lavoro, alle relazioni affettive. Nulla di tutto questo è minimamente accennato in questo decreto, che risulta non solo inadeguato, ma privo di qualsiasi efficacia.