Roma, 15 ottobre - “Diminuzione della ricchezza, povertà e depauperamento produttivo sono questi gli effetti dell’economia sommersa e di quella illegale sul nostro Paese e sulla vita degli italiani, altro che contributo al Pil. Quello descritto dall’Istat, nel suo ultimo rapporto sull’economia non osservata, è un quadro sconfortante”. Lo affermano in una nota i segretari confederali della Cgil Gianna Fracassi e Giuseppe Massafra.
“Abbiamo assistito, dal 2014 al 2017 - sottolineano i due dirigenti sindacali - ad un aumento costante del fenomeno, tanto che nel 2017 abbiamo registrato una crescita del 1,5%, rispetto all’anno precedente, con un valore assoluto di ben 211mld di euro. È una magra consolazione registrare che l'incidenza dell’economia non osservata sul Pil si sia leggermente ridotta dal 13% del 2014 al 12,1% del 2017, se poi assistiamo all'aumento delle unità di lavoro irregolari +700mila dal 2007 ad oggi”.
“Il 41,7% del sommerso - aggiungono Fracassi e Massafra - si verifica nel settore del commercio, trasporti e magazzinaggio, attività di alloggio e ristorazione, dove si genera il 21,4% del valore aggiunto totale. Questa concentrazione sottolinea l'importanza di spingere l'acceleratore verso l'incrocio automatico delle banche dati”.
“Inserire l'economia illegale nel calcolo della ricchezza prodotta è profondamente sbagliato, in quanto - spiegano Fracassi e Massafra - quei proventi vanno ad ingrossare esclusivamente le tasche delle mafie senza produrre alcun aumento dei redditi delle imprese e dei cittadini, e senza rispondere agli stimoli della politica economica come l'economia sana”.
Inoltre, proseguono i due segretari confederali “quei proventi, realizzati da attività illegali, non generano in alcun modo benessere, ma vengono invece a loro volta utilizzati dalle mafie per ulteriori attività illegali, che, funzionali alla ripulitura di quel danaro sporco, uccidono imprese sane, introducono elementi di concorrenza sleale, e deprimono lo sviluppo e l'occupazione. La sola penetrazione della 'ndrangheta nell'economia delle regioni del centro-nord ha prodotto - ricordano in conclusione Fracassi e Massafra - una perdita secca del lavoro del 28%, tra il 1971 e il 2011”.