Audizione presso le Commissioni II e VI della Camera dei deputati sullo schema di decreto legislativo n.160 che recepisce la Direttiva comunitaria 2022/2464 in materia di rendicontazione societaria di sostenibilità (16 luglio 2024)

La Direttiva 2464 del 2022 impone l’obbligo di pubblicare un bilancio di sostenibilità a:

• tutte le aziende europee, anche non quotate, con oltre 250 dipendenti;

• alle piccole e medie imprese europee quotate sui mercati regolamentati dell’UE con più di dieci dipendenti;

• alle aziende extra europee con ricavi netti superiori a 150 milioni di euro all’interno dell’UE.

Si stima che più di 50mila aziende europee (di cui oltre 4.300 italiane) ed extra UE ricadano in tale obbligo.

Questa normativa comunitaria non solo amplia l’ambito di applicazione della Direttiva UE 95 del 2014, che per prima ha imposto l’obbligo di pubblicare un bilancio non finanziario alle aziende europee medio grandi, ma specifica che le informazioni sugli aspetti ambientali, sociali e di governance (ESG, acronimo di environmental, social and governance) devono essere redatte seguendo un insieme di indicatori molto precisi, redatti dal gruppo europeo di esperti EFRAG su mandato della Commissione UE. Va sottolineato che

tali indicatori sono il frutto di un lavoro collettivo da parte di EFRAG, che ha coinvolto i principali portatori di interessi europei, dal sindacato alle organizzazioni imprenditoriali, dalle ONG alle associazioni dei consumatori, fino alle società di consulenza.

La rendicontazione di sostenibilità deve contenere sia il “modello e la strategia aziendale in relazione ai rischi connessi alle questioni di sostenibilità” sia il modo in cui tengono conto degli interessi dei propri stakeholder.

Tale rendicontazione deve descrivere anche le procedure di dovuta diligenza (due diligence) “applicate dall’impresa in relazione alle questioni di sostenibilità”, i “principali impatti negativi, effettivi e potenziali, legati alle attività dell’impresa e alla sua catena del valore”, le eventuali azioni intraprese dall’azienda per prevenire o attenuare questi impatti negativi e una descrizione della politica in materia di diversità “applicata in relazione alla composizione degli organi di amministrazione, gestione e controllo dell’impresa”. L’obbligo di pubblicare un bilancio di sostenibilità scatta dal primo gennaio del prossimo anno per tutte le aziende europee con oltre 250 lavoratori e un fatturato netto di più di quaranta milioni di euro. L’obbligo sarà poi progressivamente imposto, a partire dal primo gennaio 2026, a tutte le altre, europee e non, interessate dalla normativa comunitaria.

Da dieci anni, i bilanci di sostenibilità in Europa si sono, dunque, trasformati da un esercizio di comunicazione puramente volontario da parte delle imprese a uno strumento obbligatorio per una parte consistente del tessuto imprenditoriale europeo, capace di rendere conto degli impatti ambientali e sociali delle azioni e decisioni di un’azienda, nonché delle conseguenze che i cambiamenti ambientali e sociali hanno sulle azioni e sulle decisioni delle imprese.

Come CGIL, all’interno della Confederazione europea dei sindacati e nel confronto con la Commissione UE, abbiamo seguito con molta attenzione l’iter della Direttiva 2022/2464, che è per noi cruciale per due motivi.

In primo luogo, il sistema regolatorio introdotto dalla Direttiva non va letto come un aggravio burocratico per le aziende ma si rende necessario per cogliere le nuove sfide ambientali e sociali che dobbiamo affrontare,

legando la qualità dei prodotti e dei servizi al valore della sostenibilità. La normativa comunitaria apre nuovi orizzonti per l’azione sindacale, prevedendo che le rappresentanze dei lavoratori siano informate e consultate sulle informazioni di sostenibilità pertinenti e sui mezzi per ottenerle e verificarle, ma offre anche nuove opportunità di sviluppo e di competitività per le imprese. In secondo luogo, questa Direttiva è per noi molto rilevante perché prevede che il bilancio di sostenibilità riguardi l’intera catena del valore di un’azienda, aumentando la trasparenza nella subfornitura allo scopo di prevenire ogni forma di sfruttamento. Come dimostrano recenti casi di cronaca – anche nera – è proprio negli anelli più opachi della catena del valore che abbondano le violazioni dei diritti umani e del lavoro. La trasparenza nelle condizioni di occupazione non è solo un obbligo ma anche un grande acceleratore di cambiamento.

Per questi motivi, è per noi fondamentale che la Direttiva sia recepita nel modo migliore nella legislazione italiana. Nel marzo scorso, durante la fase di consultazione pubblica sullo schema di decreto legislativo, organizzata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, come CGIL abbiamo mandato delle nostre osservazioni su due temi. Il primo è quello di un adeguato riconoscimento dei nuovi diritti di informazione e consultazione assegnati dalla Direttiva ai rappresentanti sindacali. È necessario che tali diritti – per essere effettivi e non solamente formali – siano preventivi alla pubblicazione del bilancio di sostenibilità e non ex post.

La Direttiva 2022/2464 precisa che una migliore rendicontazione di sostenibilità va a vantaggio anche “dei sindacati e dei rappresentanti dei lavoratori, che sarebbero adeguatamente informati e quindi in grado di impegnarsi meglio nel dialogo sociale”. Più oltre aggiunge: “La pandemia Covid-19 ha accelerato ulteriormente l’aumento delle esigenze di informazione degli utenti, in particolare in quanto ha portato alla luce le vulnerabilità dei lavoratori e delle catene del valore delle imprese (…) La mancanza di informazioni sulla sostenibilità fornite dalle aziende limita inoltre la capacità dei portatori di interessi, ivi compresi gli attori della società civile, le organizzazioni sindacali e i rappresentanti dei lavoratori, di avviare un dialogo con le imprese in merito alle questioni di sostenibilità”. I sindacati possono giocare un ruolo molto importante nell’impostazione delle strategie ambientali, sociali e di governance delle imprese, in quanto stakeholder chiave nelle questioni riguardanti il mondo del lavoro.

La Direttiva può, dunque, rafforzare il dialogo sociale a livello di azienda e di gruppo, a patto, però, che il rispetto dell’obbligo di pubblicare un bilancio di sostenibilità non si esaurisca in un mero adempimento procedurale. Un esempio di come il dialogo sociale può declinarsi in modo nuovo viene dalle politiche green.

La transizione verde non è una minaccia per il mondo del lavoro, perché per noi gli aspetti ambientali e quelli sociali si integrano per costruire un nuovo modello di sviluppo. Il coinvolgimento delle rappresentanze dei lavoratori è la migliore garanzia non solo per favorire questa integrazione fra aspetti ambientali e sociali, evitando il rischio di sminuire la portata di questa Direttiva, ma anche per prevenire ogni pericolo di greenwashing e socialwashing, vale a dire di informazioni scorrette sulle strategie ambientali e sociali di un’impresa.

Secondo una ricerca dell’agenzia di stampa britannica Reuters, pubblicata a ottobre dello scorso anno, il numero dei casi di greenwashing da parte di banche e servizi finanziari è cresciuto del 70% in un anno. A un terzo di quelle coinvolte nel greenwashing è stato anche imputato di fare del socialwashing, oscurando abusi nel campo dei diritti umani e impatti negativi delle azioni e decisioni di un’azienda sulle comunità locali.

Per noi è, inoltre, molto importante che le informazioni di sostenibilità pubblicate dalle imprese riguardino, con lo stesso grado di importanza e di dettaglio, quelle ambientali, sociali e di governance, in una visione olistica della sostenibilità. Troppo spesso ancora oggi il termine “sviluppo sostenibile” è utilizzato per indicare in modo prevalente gli aspetti legati alla protezione della natura e al contrasto al cambiamento climatico. Il concetto di sostenibilità si basa, invece, sui tre pilastri ESG, da considerare nello stesso modo separatamente e nelle loro interrelazioni.

Un secondo aspetto sul quale abbiamo mandato delle osservazioni allo schema di decreto legislativo del MEF riguarda il tema delicato dell’attestazione di conformità del bilancio di sostenibilità. Come CGIL abbiamo proposto di aggiungere nel testo del decreto la possibilità di consultare i rappresentanti sindacali da parte di chi effettua l’attestazione di conformità del bilancio di sostenibilità, nel caso in cui emergano possibili incongruenze nelle informazioni riguardanti i temi del lavoro e delle relazioni industriali. Come sappiamo, l’acquisizione di competenze sulle questioni ambientali, sociali e di governance è ancora da costruire e da consolidare da parte di chi sarà chiamato ad attestare la conformità di un bilancio di sostenibilità. Ecco, quindi, che il sindacato può svolgere un ruolo utile di informazione, di integrazione e di chiarimento sui temi del lavoro.

Siamo consapevoli del fatto che quanto da noi richiesto non è presente nel testo della Direttiva comunitaria ma abbiamo chiesto che il decreto legislativo vada al di là rispetto alla normativa UE, riconoscendo al sindacato un ruolo di informazione e consultazione anche nella fase di attestazione di conformità. In un Paese come l’Italia, dove la contrattazione collettiva e il dialogo sociale ricoprono un ruolo molto rilevante, i rappresentanti sindacali possono, infatti, costituire una fonte di informazione preziosa per verificare la veridicità delle informazioni pubblicate dalle aziende in materia di diritti del lavoro. Introdurre degli aspetti nuovi nella fase di recepimento di una normativa comunitaria nella legislazione nazionale è del resto possibile. Per esempio, il decreto legislativo 254 – recependo nel 2016 in Italia la Direttiva UE 2014/95 – prevedeva delle sanzioni per le imprese inadempienti, che nella normativa comunitaria non erano previste.

Riteniamo, in conclusione, che un decreto legislativo informato su questi princìpi possa rispondere al meglio agli obiettivi di fondo dei legislatori dell’UE nel concepire questa Direttiva, che rafforza il modello sociale europeo in una chiave innovativa e di sviluppo sostenibile. Una maggiore competitività del sistema imprenditoriale UE può raggiungersi solo aggiungendo alle radici del modello sociale europeo il futuro della sostenibilità.

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