L’Osservatorio Famiglia (organismo di supporto tecnico scientifico istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche della famiglia), al quale, per la CGIL, partecipa Sandro Gallittu, nella giornata del 9 dicembre scorso, ha discusso la bozza del nuovo Piano Nazionale per la Famiglia 2025-2027.
Nella discussione dell’Osservatorio, oltre alle valutazioni critiche da noi espresse, è emersa l’esigenza di apportare modifiche alla scheda sul welfare aziendale e a quella sui nidi familiari. Successivamente all’elaborazione delle modifiche e al passaggio in Conferenza Stato – Regioni ci riserviamo di pubblicare la versione definitiva con un più dettagliato approfondimento.
Come ricorderete, il precedente Piano era stato approvato nel corso del 2022, a ridosso dell’insediamento del nuovo esecutivo e ha avuto conseguentemente scarsissime possibilità di attuazione.
Nel nuovo Piano, si rimarca ripetutamente l’intenzione di adottare un “cambio di prospettiva”, attraverso una “visione del welfare familiare” promosso da “una pluralità di attori sociali (PA, imprese, Terzo Settore, reti primarie e famiglie)” e la “promozione del principio di sussidiarietà”.
Un’espressione dietro la quale si nascondono poche idee, poco condivisibili e tutt’altro che innovative, frutto di un’analisi superficiale e talvolta arretrata della condizione delle famiglie e delle loro necessità; idee che si prestano a una facile propaganda ma sono ben lontane dal rispondere ai reali bisogni delle famiglie, a partire da quelle più giovani.
Nel corso della discussione nell’ambito nell’Osservatorio, abbiamo espresso il nostro giudizio critico sia rispetto all’impianto complessivo che a specifici aspetti sintetizzati qui di seguito.
Il Piano è stato predisposto in un quadro isorisorse e a legislazione vigente, come rimarcato dalla Ministra e da chi rappresentava il Dipartimento per la Famiglia – dunque privato dall’origine delle possibilità di avere il necessario respiro che dovrebbe caratterizzare un atto di programmazione, e purtroppo coerente con l’impostazione dell’attuale maggioranza e del Governo relativamente a modelli e politiche familiari.
Il Piano si articola in 15 azioni:
1. Strumenti per il potenziamento dei servizi di cura nel quadro della conciliazione vita-lavoro
2. Uno strumento innovativo di welfare aziendale a supporto della natalità e della cura nella famiglia
3. Un processo integrato per il potenziamento del welfare aziendale amico della famiglia
4. Sperimentazione nazionale sui nidi familiari
5. Indagine sui fattori che orientano la Generazione Z alle scelte familiari
6. Il Centro per la famiglia come hub di una nuova governance territoriale
7. Percorso di allineamento e potenziamento sulle politiche familiari per gli operatori territoriali
8. La figura del Family Welfare Manager
9. Rete dei comuni per la famiglia
10. Figure di sostegno alla maternità, paternità e genitorialità nei primi mille giorni
11. Un modello condiviso per la rilevazione dei bisogni delle famiglie
12. Studio sulle politiche familiari di tipo strutturale
13. Strumenti di valutazione degli interventi per la famiglia
14. Linea guida per un’efficace comunicazione del Piano
15. Un sistema informativo sul welfare amico della famiglia
Si afferma che il focus del piano è rappresentato dal sostegno alla natalità che viene declinato principalmente, e in maniera a dir poco limitativa, attraverso la promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (riferita troppo spesso solo alle donne/madri), che verrebbe affidata soprattutto a strumenti di welfare aziendale e strumenti per il potenziamento dei servizi di cura.
Sicuramente desta preoccupazione il demando molto insistente al welfare aziendale: si parla di “welfare aziendale amico delle famiglie” che peraltro svela una visione paternalistica delle imprese e del lavoro, nella evidente volontà di ridurre l’intervento e le responsabilità del welfare pubblico e senza che vi sia un espresso richiamo alla contrattazione collettiva e al ruolo delle Organizzazioni sindacali.
Per quanto riguarda i servizi di cura, lungi dal sostenere la realizzazione e il potenziamento di una rete di servizi pubblici, a partire dagli asili nido da assicurare in maniera diffusa e capillare per garantire in primo luogo il diritto dei bambini e delle bambine a un percorso educativo di qualità sin dai primi mesi di vita (nulla si dice dell’obiettivo di garantire posti negli asili nido al 33% dei bambini/e entro il 2027, che costituisce un livello essenziale di prestazioni, né dell’obiettivo europeo di arrivare al 45% entro il 2030), si individua nella promozione dei “nidi familiari” l’obiettivo da perseguire da noi ritenuto aspetto non qualificante.
Nel Piano si parla di “attivazione di un sistema flessibile di interventi sperimentali” e di “sperimentazione nazionale sui nidi familiari: espressioni piuttosto ridondanti, soprattutto se riferite a servizi che esistono da molto tempo. Sarebbe poi più corretto parlare di servizi in contesto domiciliare, visto che non sono propriamente asili nido così come è improprio il richiamo alla dimensione familiare.
La sperimentazione di servizi domiciliari è la riproposizione di un modello di servizi integrati decisamente datata e priva delle necessarie valutazioni di impatto. Sarebbe utile, viste le innumerevoli sperimentazioni di servizi domiciliari, una restituzione puntuale in temini quali-quantitativi della reale situazione.
In ogni caso, al netto delle esperienze in piccoli comuni in zone montane dove i numeri non consentono agevolmente di attivare un asilo nido, i servizi domiciliari possono rappresentare una risposta solo in termini di servizi “integrativi” e mai “sostitutivi” degli asili nido, altrimenti parliamo di un modello poco condivisibile e che suscita non poche perplessità a partire dall’aspetto educativo; perplessità e preoccupazioni che trovano conferma nella mancanza di indicazioni nel Piano rispetto ad adeguati requisiti professionali per il personale adibito a tali servizi (davvero velleitario e pericoloso pensare che possano essere sufficienti 250 ore di formazione per acquisire le competenze necessarie allo svolgimento di una funzione educativa).
Va quindi previsto che la priorità deve essere quella di garantire a tutti i bambini e bambine asili nido di qualità, accessibili e gratuiti, che sono parte integrante e fondamentale del percorso educativo e di crescita. Dunque, le scelte dovranno essere sempre di più finalizzate alla costituzione di un sistema educativo integrato dei servizi, nidi e servizi integrativi, con l'obiettivo di garantire una pluralità di offerte, promuovendo il confronto tra i genitori e l'elaborazione della cultura dell'infanzia, anche attraverso il coinvolgimento delle famiglie e della comunità locale.
Occorre poi fare attenzione anche alla garanzia della qualità e della tutela del lavoro delle figure adibite a tali servizi per evitare che vengano collocate in un arcipelago di lavori femminili marginali, malpagati e con caratteristiche prevalentemente assistenziali.
Da questo punto di vista lascia interdetti anche l’inserimento di questa riflessione nel Piano per la famiglia anziché in quello per l’infanzia in corso di elaborazione.
Nel Piano viene dato rilievo al ruolo del “Family welfare manager” e del “Centro per la famiglia”, che dovrebbe diventare il “centro gestionale e operativo di tutti gli interventi realizzati per promuovere il benessere della famiglia” e raccordare tutte le azioni in favore delle famiglie realizzati dalle imprese, dal terzo settore e dagli enti locali.
Complessivamente uno scenario in cui si afferma un’idea di welfare pubblico debole e residuale mentre le politiche familiari si riducono alla mera promozione di interventi a favore della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro affidati alle imprese e a servizi di prossimità.
Nel Piano si intende porre un’attenzione ai più giovani promuovendo un’indagine per approfondire l’orientamento della cosiddetta “Generazione Z” a scelte e progettualità di coppia e genitoriali. Lo studio dovrebbe approfondire l’incidenza di fattori come l’istruzione, il lavoro, la casa, la rete dei servizi nelle scelte dei più giovani: approfondimento che può essere utile se poi si traduce in scelte coerenti da parte del Governo che, al contrario, in questi anni è andato spesso nella direzione opposta rispetto a quella necessaria a favorire le scelte dei giovani. Si pensi soprattutto al lavoro, alla precarietà e ai bassi salari, all’emergenza abitativa, ecc. La garanzia di un lavoro stabile e adeguatamente retribuito, la disponibilità di una casa a prezzi sostenibili, un’adeguata rete di servizi, a partire dai servizi educativi per la prima infanzia, sono presupposti indispensabili per assicurare la certezza necessaria ad affrontare serenamente le scelte familiari e di genitorialità.
Nel ribadire il nostro giudizio critico sulla bozza del Piano famiglia 2025-2027, invitiamo le strutture confederali regionali affinché, prima del passaggio del Piano in Conferenza Stato-Regioni, attivino le necessarie interlocuzioni con gli assessori delle proprie Regioni per sollecitarli a intervenire perché si modifichi l’impianto del Piano e in particolare:
- riteniamo debba essere cassato, o quantomeno essere reso residuale, il riferimento ai cosiddetti “nidi familiari”: in materia di asili nido, occorre garantire il raggiungimento della piena attuazione dei LEP entro il 2027 e l’obiettivo di garantire un numero di posti in asili nido pari al 45% dei bambini/e 0-2 anni entro il 2030 e non l’introduzione surrettizia di forme che, ben lungi dal poter essere considerate alla stregua dei servizi pubblici, sono semplici strumenti di conciliazione attraverso i quali si moltiplica un modello familistico che in alcun modo può sostituire un servizio pubblico di qualità;
- in relazione agli interventi in materia di famiglia che possono essere definiti con le aziende, è indispensabile un riferimento chiaro e preciso alla contrattazione collettiva esercitata dalle Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale: un riferimento generico al welfare aziendale rischia di andare nella direzione, tutt’altro che condivisibile, della sollecitazione di azioni unilaterali da parte delle Imprese che, oltre a prefigurare una funzione sostitutiva del welfare generale e universale da rifiutare nettamente, attribuisce alle sole aziende l’attuazione del progetto;
- va infine fatto valere il fatto che il Piano declina tutta la sua elaborazione avendo come unico modello quello della famiglia nucleare, composta da genitori e figli (e non a caso si sovrappone con preoccupante frequenza al Piano Infanzia e Adolescenza): è importante che anche in sede di confronto in Conferenza Stato-Regioni si solleciti un’attenzione a tutti i modelli familiari esistenti in un’ottica ampia e non escludente rispetto a tutto ciò che sfugge al paradigma della famiglia nucleare.