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Il XII rapporto annuale “Gli stranieri nel mercato del lavoro”, elaborato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali/Direzione Generale Immigrazione, fornisce dati importanti relativi alla presenza della popolazione migrante in Italia con particolare attenzione al ruolo che rivestono nel mercato del lavoro e nel sistema occupazionale.
Il rapporto ci restituisce una fotografia delle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini migranti che hanno maggiormente sofferto durante la fase acuta della pandemia, in termini occupazionali e di incidenza della povertà.
Nel 2021 si registra una ripresa dell’occupazione dei cittadini migranti, tuttavia va sottolineato che tale ripresa è caratterizzata da una notevole precarietà delle condizioni di lavoro: la maggior parte dei contratti di lavoro attivati sono a tempo determinato, il ricorso ai tirocini riguardo a giovani migranti under 35 impiegati solo in mansioni di bassa qualifica ci deve fare riflettere sull’uso improprio di questo istituto, da valutare poiché riferita a una casistica contenuta l’incremento dei contratti di apprendistato.
Il rapporto evidenzia alcuni elementi di dinamicità riferita alla ripresa occupazionale successiva alla fase più acuta della pandemia caratterizzata inoltre da una transizione occupazionale che interessa diversi settori economico-produttivi.
ALCUNI PUNTI SALIENTI DEL RAPPORTO
Popolazione e flussi
I cittadini non UE regolarmente soggiornanti sono, al 1° gennaio 2021, 3.373.876. Negli ultimi anni la presenza dei cittadini non comunitari ha mostrato una tendenza alla riduzione, passando, tra il 2018 e il 2021, da 3,7 milioni a 3,4 milioni (-9,2%).
La contrazione è stata maggiore tra le donne (-218 mila; -11,4%) rispetto agli uomini (-123 mila; -6,8%); uno dei motivi del calo delle presenze è attribuibile al fatto che molti cittadini immigrati che hanno ottenuto la cittadinanza italiana si sono spostati in altri paesi UE.
Per quanto riguarda i flussi di ingresso dei cittadini non comunitari in Italia e i nuovi permessi di soggiorno rilasciati, nel rapporto viene evidenziata una contrazione dei flussi ingresso del 53, 1% tra il 2017 (263 mila) e il 2020 (107 mila). Questi dati confermano ciò che denunciamo da diversi anni riguarda alla necessità di prevedere adeguati ingressi attraverso i decreti flussi per lavoro subordinato che da oltre un decennio si sono ridotti quantitativamente.
In generale si può comunque evidenziare che nonostante il marcato incremento demografico che interessa l’Italia la componente straniera negli anni 2021-2022 è lievemente aumentata (+0,4%) (meno marcato che negli anni precedenti) senza però riuscire a invertire la tendenza demografica complessiva.
Povertà
Peggiorano, invece, i dati sulla povertà. Il 30,6% delle famiglie di soli stranieri (dato in crescita di quasi 4 punti rispetto al 2020) è in una condizione di povertà assoluta, contro il 5,7% registrato tra le famiglie di soli italiani. Le famiglie con stranieri, pur rappresentando solo il 9% delle famiglie in Italia, pesano per il 31,3% sul totale delle famiglie povere.
L’evidenza dei dati conferma la necessità di garantire parità di accesso a tutti gli strumenti di protezione sociale, a partire da quelli di contrasto alla povertà, superando le disparità di condizioni oggi presenti.
Pandemia e mercato del lavoro
Il rapporto conferma le nostra analisi riguarda all’impatto pesante della pandemia sulle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini migranti e le loro famiglie, che ne hanno subito maggiormente gli effetti, cosi come è avvenuto durante le crisi economiche che il nostro paese ha attraversato da oltre un decennio.
Le cause, come evidenziato dal rapporto, sono da ricercarsi nelle condizioni di lavoro meno stabili e nell’anzianità di servizio generalmente inferiore.
Il dato però di interesse riguarda l’incrocio tra la marcata riduzione del tasso di occupazione negli anni 2020 e 2021 e l’aumento che ha caratterizzato i periodi successivi alla pandemia.
Quindi un impatto più forte, comunque attutito dalle misure di protezione del lavoro introdotte nel 2020, e un marcato recupero dovuto anche alla capacità di ricerca del lavoro in altri settori rispetto all’occupazione originaria.
Il numero degli occupati migranti nel 2018 era 2 milioni 337 mila , nel 2019 2 milioni 380 mila, nel 2020 2 milioni 204 mila, nel 2021 2 milioni 25 mila; da questi dati si evince un forte calo degli occupati soprattutto nel periodo della pandemia nel 2020, poi un aumento di 53 mila unità nel 2021.
Gli occupati stranieri sono 2,3 milioni, il 10% del totale degli occupati.
Il tasso di occupazione è al 57,8% (58,3% quello dei nativi), la disoccupazione al 14,4% (9% tra gli italiani), l'inattività al 32,4% (35,9%), ma gli indicatori peggiorano sensibilmente se si fa riferimento solo alle donne.
Tra i settori con la più alta incidenza di occupati stranieri, si segnalano Agricoltura (18,0% del totale degli occupati), le Costruzioni (15,5%) e Alberghi e ristoranti (15,3%). È però in Altri servizi collettivi e personali che la quota di lavoratori stranieri è più elevata: 34,3% che da evidenza alla forte segmentazione del nostro mercato del lavoro e del rischio di “ghettizzazione” che ne deriva.
I rapporti di lavoro attivati nel 2021 tramite il SISCO sono in aumento rispetto al 2020, sia per gli italiani che per i migranti; il complesso delle attivazioni che hanno interessato i lavoratori migranti è pari a 2.123 782 unità di cui 576.151 hanno riguardato lavoratori comunitari (27,1% del totale) e 1.547.631 extracomunitari (72,9%).
Rispetto al 2020, il numero di attivazioni di contratti dei lavoratori migranti è complessivamente cresciuto di 8,6 punti percentuali.
Sebbene nel 2021 vi è stata una ripresa delle assunzioni per i cittadini Extra-UE, i contratti di lavoro a tempo indeterminato calano rispetto al 2020 (-13%) mentre si registra una crescita consistente dell’apprendistato (+43,1% per i lavoratori Extra-UE); sono in aumento anche i contratti di lavoro a tempo determinato (+18,4%) e i contratti di collaborazione ( 23%), per quando riguarda le altre tipologie di contratto (contratti di inserimento lavorativo, contratti di agenzia a Tempo Determinato e Indeterminato, contratto intermittente a Tempo Determinato e Indeterminato, lavoro autonomo
nello spettacolo) si registra un aumento pari a (+34,4%).
Pertanto è importante sottolineare la prevalenza di forme contrattuali temporanee – dato comune alle dinamiche più complessive del mercato del lavoro e la minore incidenza, rispetto ai nativi, della percentuale di attivazione di contratti a tempo indeterminato correlata ai settori di maggiore occupazione dei lavoratori stranieri.
Nel 2021 i tirocini extracurricolari attivati e registrati dal SISCO che hanno interessati cittadini migranti sono complessivamente29.921, il 29,3% in più rispetto all’anno 2020.
Nel 2021 il settore che registra la maggior parte dei tirocini attivati che hanno interessato cittadini migranti è quello delle Altre attività nei Servizi con 14.872 attivazioni, il 49,7% del totale, seguono
l’Industria in senso stretto con il 21,7%, il Commercio e riparazioni 16,1%, le Costruzioni 8,1% e l’Agricoltura 4,4%.
Rispetto alle qualifiche professionali, i tirocini che hanno interessato cittadini migranti si sono concentrate nelle seguenti professioni: Commessi delle vendite al minuto, Cuochi in alberghi e ristoranti, personale non qualificato nei di ristorazione, personale non addetto ai servizi di pulizia di uffici ed esercizi commerciali, Camerieri e professioni assimilati.
Anche in considerazione del dato relativo alle professioni si conferma la necessiti di una riflessione sulla qualità di tali percorsi a partire dalla valutazione sull’ambito di utilizzo sia riferita che al contenuto formativo. Sarebbe interessante incrociare i dati su tali percorsi con la successiva attivazione di rapporti di lavoro.
Per quanto riguarda i rapporti di lavoro in somministrazione, nel 2021 sono stati registrati complessivamente 1.335.908 rapporti di lavoro attivati in somministrazione, di cui 293.481 hanno interessato lavoratori migranti (53.867 comunitari e 239.614 extracomunitari), il 22,0% del totale, rispetto al 2020 il numero di assunzioni è in crescita complessivamente del 27,9% (+33,6% nel caso degli stranieri); importante sottolineare una cospicua presenza di under 35, poiché più del 50% di tutti rapporti in somministrazione che hanno interessato i cittadini stranieri riguarda lavoratori giovani; in particolare, il 36,1% degli Extra UE ha un’età compresa tra 25 e 34 anni e il 28,6% degli UE un’età compresa tra 35 e 44 anni.
Infortuni
Per quanto riguarda gli infortuni, nel 2020 risultano pervenute all'Inali 572.018 denunce di infortunio in complesso con una diminuzione del’11,3% rispetto agli oltre 644mila casi dell’anno precedente. Il 17,4% (99.546) ha riguardato i lavoratori migranti stranieri e poco più di 472mila gli italiani con un calo rispettivamente del’8,4% (da 108.671 a 99.546) e del’11,9% (da 536.031 a 472.471) sull’anno precedente.
Nel 2020, delle 572mila denunce in complesso, 1.640 hanno avuto esito mortale con un incremento di oltre un terzo rispetto al 2019 che aveva registrato 1.219 casi; 236 hanno riguardato i lavoratori migranti (+7 rispetto ai 229 del 2019).
Nel 2020 tra i settori dell’industria e servizi che hanno registrato il maggior numero di infortuni mortali riguardo ai lavoratori migranti troviamo quello dei Trasporti e magazzinaggio (27 casi), il settore delle Costruzioni (22) e quello della sanità (17).
I dati provvisori (riferiti al periodo gennaio-dicembre 2021 e rilevati al 31.12.2021) delle denunce di malattie professionali pervenute all'Inali, pari a 55.288, evidenziano un aumento del 22,8% rispetto alle 45.023 dello stesso periodo dell’anno precedente. Le denunce di malattie professionali dei lavoratori stranieri, nel periodo gennaio-dicembre 2021, sono state 4.146 (7,5% del totale) di cui quasi un terzo (1.312) ha interessato i comunitari e il 68% i non comunitari, entrambe in crescita rispetto al periodo precedente.
I dati sulle malattie professionali dei lavoratori migranti risentono di alcuni fattori che non sempre danno evidenza della portata del fenomeno e non possono far comprendere l’entità dello stesso; la mobilità elevata del lavoratore, non consente, inoltre, di fare maturare le condizioni per la denuncia e a volte i lavoratori migranti che si ammalano, tendono a tornare nel paese di origine.