Osservazioni CGIL

DECRETO LEGISLATIVO 15 marzo 2024, n. 29

“Disposizioni in materia di politiche in favore delle persone anziane, in attuazione della delega di cui agli articoli 3, 4 e 5 della legge 23 marzo 2023, n. 33.”

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 19 marzo 2024.

Il D.lgs. 29/2024 è l’esito, auspicabilmente non definitivo, di un lungo percorso di riforma in materia di non autosufficienza, a lungo rivendicata dalle organizzazioni sindacali confederali e dei pensionati in Italia. Un risultato positivo di questa mobilitazione è stato raggiunto con l’inserimento di una “Riforma relativa alle persone anziane non autosufficienti” tra gli obiettivi del PNRR (Missione 5 Componente 2). Il primo passo della riforma è stata l’emanazione della Legge n. 33 del marzo 2023 “Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane”. La riforma è esplicitamente connessa con gli investimenti per il potenziamento della sanità territoriale prevista dalla Missione 6 componente 1 del PNRR e con l’altra riforma prevista dal PNRR, vale a dire il DM 77/2022 “Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale”. La Legge 33/2023 – indicando principi e criteri direttivi al Governo per l’esercizio della delega – riconosce l’indifferibile necessità di intervenire sui bisogni crescenti nel nostro Paese dovuti all’invecchiamento della popolazione, individua le linee per un’ambiziosa e impegnativa riforma a favore della popolazione anziana e anziana non autosufficiente, rinviando ad almeno tre decreti legislativi – da emanare entro gennaio 2024 – la sua effettiva attuazione (v. osservazioni CGIL alla L. 33/2023 qui).

Il D.lgs. 29/2024 che mira ad attuare complessivamente la Legge 33/2023 consiste in un decreto omnibus: contiene cioè diverse materie che sarebbe stato preferibile trattare con specifici decreti. Così, molti articoli anche condivisibili sono ripetitivi di quanto già afferma la delega, e non la traducono immediatamente in misure operative.

Il D.lgs. è corposo e si compone di 43 articoli organizzati in due Titoli.

Il Titolo I è rivolto a tutta la popolazione anziana e contiene: principi generali e definizioni; misure promozionali di invecchiamento attivo e prevenzione; nuove misure abitative in materia di cohousing; misure di alfabetizzazione informatica. Queste norme, ricche di rinvii per l’attuazione a futuri provvedimenti e prive di stanziamento di adeguate risorse, assegnano un ruolo rilevante al volontariato, al servizio civile, agli enti del terzo settore e allo scambio intergenerazionale.

Il Titolo II riguarda esclusivamente la popolazione anziana non autosufficiente. Queste norme differenziano in base all’età l’accesso a servizi e benefici economici. Infatti, gli anziani dai 65 ai 69 anni risultano totalmente esclusi dai servizi, mentre il nuovo beneficio economico della Prestazione Universale sarà riservato agli over 80. Il Titolo è composto da due Capi. Il Capo I contiene le disposizioni per il riordino, la semplificazione, il coordinamento delle attività e dei servizi di assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria per le persone anziane non autosufficienti e la valutazione multidimensionale. Tuttavia, i numerosi rinvii a successivi provvedimenti e il mancato stanziamento di risorse impediscono a questo stadio la semplificazione delle procedure valutative, l’efficace erogazione dei LEPS per la non autosufficienza, l’effettiva integrazione di filiere sociale e sanitaria, e il rinnovamento del sistema dei servizi domiciliari e residenziali. Il Capo II contiene invece disposizioni in materia di Prestazione Universale (beneficio economico sperimentale), ricognizione delle agevolazioni contributive e fiscali e previsione di standard, percorsi formativi e competenze delle assistenti familiari (c.d. badanti), misure per i caregiver familiari e aspetti finanziari della riforma.

CONSIDERAZIONI

Il D.lgs. 29/2024 è stato adottato con lieve ritardo rispetto alla scadenza prevista dalla Legge delega 33/2023 che fissava il termine del 31 gennaio 2024, rientrando comunque nei tempi previsti dalla M5C2 del PNRR.

Con questo decreto doveva prendere corpo, avviando un preciso percorso, l’impegnativa riforma in materia di politiche a favore delle persone anziane, con particolare riguardo a quelle non autosufficienti. Invece, come abbiamo già scritto (memoria CGIL - audizione sullo Schema D.lgs. recante politiche in favore delle persone anziane AG 121 - 15 febbraio 2024), il provvedimento tradisce gran parte degli impegni contenuti nella Legge delega e finisce per deludere le aspettative.

In primo luogo, l’attuazione della legge viene rinviata di mesi in alcune parti, fino ad addirittura a due anni per altre. Infatti, sono previsti più di venti rinvii a futuri provvedimenti (decreti ministeriali, linee guida e disposizioni di legge regionale - si veda l’elenco in allegato). Ciò determina una residuale attuazione delle delega e una mancanza di operatività della riforma, frutto della fretta di non mancare le scadenze del PNRR, se non di grave  ncapacità di visione politica. Il lungo testo include troppe macro-tematiche che avrebbero avuto bisogno di essere sviluppate con specifici decreti, facendo così emergere la debolezza dell’impianto complessivo. Inoltre, la nostra preoccupazione, manifestata più di un anno fa (memoria CGIL – audizione sul disegno di legge Deleghe al Governo in materia di politiche a favore delle persone anziane AS 506 – 8 febbraio 2023) sul fatto che la riforma rischiasse di “prefigurare un semplice travaso, anziché un incremento, di risorse”, si è effettivamente concretizzata: nel decreto mancano del tutto finanziamenti aggiuntivi.

La partecipazione delle forze sociali e sindacali

Al netto delle brevi audizioni presso le Commissioni di Camera e Senato sullo schema di decreto proposto dal governo, non c’è stato alcun coinvolgimento delle forze sociali e sindacali nella fase di costruzione del provvedimento, salvo due brevi incontri con le OO.SS. dei pensionati. Peraltro, anche il D.lgs. in esame prevede pochissimi spazi di coinvolgimento delle organizzazioni sindacali nell’elaborazione dei diversi provvedimenti che dovranno essere emanati nei prossimi mesi, confermando la mancanza di disponibilità del Governo al confronto e alla partecipazione democratica. Tuttavia, intendiamo agire il nostro ruolo ad ogni livello (nazionale, regionale e comunale) perché questa riforma si attui compiutamente. Serve garantire la presa in carico universale della condizione di fragilità della persona anziana non autosufficiente da parte del sistema pubblico, superando la carenza strutturale di servizi, l’assenza di integrazione tra la filiera  dell’assistenza sociale e dell’assistenza sanitaria e gli ampi divari territoriali (che si aggraveranno se il progetto di autonomia differenziata verrà attuato).

Accesso a servizi e prestazioni in base all’età e non secondo il bisogno

La prima critica che muoviamo al testo è quella di aver rigidamente differenziato in base all’età l’accesso ai servizi e alle misure previste per la popolazione anziana non autosufficiente dal Titolo II del D.lgs. Persino la valutazione della condizione di non autosufficienza e l’adozione del Piano di Assistenza Individuale vengono riservati agli over 70 (art.40), escludendo radicalmente gli anziani non autosufficienti dai 65 ai 69 anni. Per di più, l’accesso al beneficio della Prestazione Universale viene riservato agli over 80. Si smentisce

così uno dei principi fondamentali della legge delega, che prevede di commisurare servizi e prestazioni in base al bisogno assistenziale e non sulla base dell’età, affermando una visione fortemente categoriale e ingiustificatamente discriminatoria dell’assistenza. Manca poi qualunque raccordo tra la definizione di “persona anziana non-autosufficiente” e le varie definizioni di “disabilità” in vigore nell’ordinamento italiano.

Integrazione sociosanitaria: debole e rinviata

Il D.lgs. – secondo il mandato della legge delega – avrebbe dovuto rendere operativa una vera integrazione tra SSN e sistema socioassistenziale, armonizzando e semplificando l’accesso ai servizi e alle prestazioni e rimettendo al centro il diritto alla cura e all’assistenza per tutti e tutte in base ad una valutazione multidimensionale (bio-psico-sociale) dei bisogni. Invece nel decreto in esame mancano disposizioni vincolanti per l’effettiva integrazione delle due filiere.

In primo luogo, al nuovo CIPA (Comitato interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana art.3) vengono assegnati compiti di coordinamento, programmazione e monitoraggio nel nuovo sistema di governance delle politiche nazionali per le persone anziane con due strumenti di programmazione (il Piano per l’invecchiamento attivo e il Piano per la non autosufficienza), senza che si preveda l’integrazione degli altri strumenti di programmazione sanitaria e sociale.

Ancora, il decreto individua, correttamente, i Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali (LEPS) per la non autosufficienza in quelli definiti dalla Legge di bilancio 2022 (Art. 1, co. 162 e 163 della L. 30 dicembre 2021, n. 234), ma non opera alcuna integrazione con i Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria (LEA) – rinviando a successivi provvedimenti e con insufficienti indirizzi operativi. Si osserva infatti l’assenza di indicazioni organizzative rispetto alle modalità di integrazione dei vari soggetti responsabili nel processo di cura e assistenza a livello locale: l’obiettivo di integrazione funzionale tra Ambiti Territoriali Sociali (ATS) e Distretto sanitario non viene realizzata, seppur già indicata dalla Legge 328/2000 e rilanciata dalla Legge delega 33/2023. Per di più, il decreto rinvia la definizione delle linee guida finalizzate al miglioramento delle capacità gestionali, organizzative finanziarie degli ATS, il che impedisce di fatto l’erogazione dei LEPS per la non autosufficienza.

Egualmente, rimane incerta e viene rinviata l’integrazione tra Assistenza Domiciliare Integrata (sanitaria) e Servizio di Assistenza Domiciliare (sociale), e non si prevede il potenziamento di questi servizi rispetto ai bisogni di continuità assistenziale dell’utenza. Mancano poi le indicazioni per la riforma della residenzialità, così come l’auspicata integrazione tra strutture socioassistenziali e sociosanitarie. Si conserva infatti la divisione tra i soggetti erogatori e le fonti di finanziamento (per le prime, ATS e Fondo politiche sociali; per le seconde, SSN e FSN) che indebolisce la possibilità di integrazione delle filiere.

Nuova domiciliarità e nuova residenzialità: assenti o rinviate

Il D.lgs. delude sul piano di un’altra innovazione cruciale della legge delega, che prevede di riordinare, coordinare e potenziare le diverse  forme e risorse (servizi di assistenza domiciliare sociale e sanitaria, attività di cura da parte di assistenti familiari e caregiver, servizi di sollievo, agevolazioni fiscali e contributive, ecc.) necessarie ad assicurare il diritto della persona non autosufficiente di vivere e di essere curata a casa propria. L’obiettivo vincolante, non rispettato, è infatti la creazione di un nuovo sistema pubblico per la domiciliarità che assicuri la continuità assistenziale (se necessaria h 24 x 365 giorni) secondo le esigenze della singola persona. Il potenziamento del sistema di assistenza domiciliare che assicuri la continuità assistenziale sarebbe previsto dal sub-investimento M6C1 1.2.1. del PNRR, che vorrebbe un aumento del volume delle prestazioni rese in assistenza domiciliare fino alla presa in carico del 10% degli over 65.

Manca poi una radicale trasformazione delle strutture residenziali e semiresidenziali, perché l’offerta non viene ridefinita e l’aggiornamento dei criteri nazionali per l’autorizzazione e l’accreditamento delle strutture residenziali (solo sanitarie) è rinviato a futuro, con mera indicazione di principi non sufficientemente vincolanti. Manca dunque il riordino normativo e operativo di strutture che si sono rivelate in molti casi, specie durante la pandemia, vere e proprie “istituzioni totali”. Queste strutture, invece, come previsto dalla legge delega, devono diventare familiari, aperte, integrate nelle comunità locali, e di piccole dimensioni. Occorre passare dall’attuale modello di residenzialità del “posto letto” a un modello fondato sul “luogo di vita” e di continuum assistenziale della persona alla situazione di salute.

Preoccupa comunque la previsione di “aggiornamento e semplificazione dei criteri” di autorizzazione e di accreditamento, strutturale e organizzativo, e di “congruità del personale” rispetto all’utenza, a cui applicare i trattamenti economici e normativi dei contratti collettivi di cui all’art.51 del D.lgs. 81/2015. Tale indicazione è potenzialmente foriera di problemi sia per la qualità del servizio che del lavoro, non trovando riferimento al pieno rispetto dei CCNL sottoscritti dalle OO.SS. maggiormente rappresentative e mancando l’allocazione di risorse aggiuntive. Sarà quindi necessario continuare a vigilare su qualità dei servizi, sul rispetto dei diritti e delle condizioni di lavoro, a partire dalla definizione dei requisiti passando dal processo di autorizzazione – accreditamento – convenzionamento, fino alla fase di controllo e rinnovo dell’accordo contrattuale con soggetti erogatori privati e ETS. I pochi elementi presenti nel decreto senz’altro non favoriscono la centralità del servizio pubblico ma prefigurano un ampliamento della platea dei soggetti erogatori, con rischio di ulteriore privatizzazione.

Autorizzazione e accreditamento

In generale, anche in materia di autorizzazione e accreditamento dei servizi domiciliari, semiresidenziali e residenziali, tutto è rinviato a futuri provvedimenti o assente: per l’assistenza domiciliare socio-assistenziale si attendono le linee guida per l’integrazione di ADI e SAD; non compare nessun riferimento ai servizi residenziali e semiresidenziali socio-assistenziali; per i servizi residenziali, semiresidenziali e domiciliari sanitari e sociosanitari si rinvia la definizione di criteri omogenei a livello nazionale per l'individuazione dei requisiti minimi. Sarà quindi necessario continuare a vigilare su qualità dei servizi, sul rispetto dei diritti e delle condizioni di lavoro, dalla definizione dei requisiti, al processo di autorizzazione -accreditamento – convenzionamento, fino alla fase di controllo e rinnovo dell’accordo contrattuale con soggetti erogatori privati e del terzo settore. I pochi elementi presenti nel decreto senz’altro non favoriscono la centralità del servizio pubblico ma prefigurano un ampliamento della platea dei soggetti erogatori, con rischio di ulteriore privatizzazione del pubblico.

Punti Unici di Accesso, valutazione multidimensionale, presa in carico e PAI: semplificazione potenzialmente positiva, ma rinviata

Confermiamo come positiva l’indicazione di interventi la valutazione dei bisogni – quale condizione per l’accesso a servizi e prestazioni a favore della popolazione anziana non autosufficiente – con lo strumento della valutazione multidimensionale centralizzato presso i Punti Unici d’Accesso (PUA), che conferma il modello delle Case della comunità e il raccordo con la Riforma dell’assistenza territoriale (DM 77/2022). Tuttavia, purtroppo, l’operatività della valutazione, e dunque l’accesso della persona anziana a servizi e prestazioni, sono rinviati a successivi decreti che dovranno indicare i seguenti elementi: i criteri di accesso prioritario ai PUA; la composizione e il funzionamento delle Unità di Valutazione Multidimensionale; lo strumento omogeneo a livello nazionale della Valutazione Multidimensionale Unificata; le modalità di funzionamento della piattaforma informatica per integrazione dei dati disponibili alle diverse amministrazioni. Questi rinvii rendono i PUA non ancora operativi a compiere i processi valutativi della non autosufficienza, e dunque le prestazioni non ancora erogabili – il che impedisce di fatto l’erogazione del LEPS Non Autosufficienza (ex art. 1 co. 163 L. 234/2021) e dei relativi LEA. Poiché la questione è centrale per l’accesso alle prestazioni e ai servizi, sarà indispensabile rivendicare un preventivo confronto con il sindacato previa emanazione di future misure attuative. Si introducono infine disposizioni non condivisibili, come la previsione di equipe private nei PUA e l’ampliamento del raggio d’azione degli erogatori privati accreditati e del terzo settore, anche nell’attuazione del PAI.

Telemedicina: potenziamento o riduzione?

Il d.lgs. prevede il rinvio a futuro decreto per la definizione di prestazioni di telemedicina domiciliare, con tre sperimentazioni in tre diverse aree geografiche per 18 mesi e senza risorse umane, strumentali e finanziarie aggiuntive, con conseguente apertura di spazi a soggetti privati e farmacie territoriali. La sperimentazione non si coordina e potrebbe risultare sottodimensionata rispetto al target della M6 PNRR (almeno 300.000 persone assistite con telemedicina entro dicembre 2025). L’individuazione del target “persone grandi anziane (ultra80enni) con almeno una patologia cronica” escluderà persone di età inferiore che potrebbero avere maggiori bisogni.

La Prestazione Universale: per pochissimi e solo in base all’età e al reddito

In assenza di un rinnovato sistema di servizi, il decreto si riduce a prevedere un nuovo trasferimento monetario. La Legge delega indicava l’introduzione della “Prestazione universale” graduata secondo il bisogno, prevista in via sperimentale, lasciando alla persona anziana non autosufficiente la possibilità di scegliere se beneficiarne sotto forma di trasferimento monetario o servizi alla persona. Il decreto non attua compiutamente questa doppia possibilità, bensì prevede un beneficio economico (in cifra fissa di 850€/mese e non graduata secondo il bisogno). Le modalità attuative del beneficio sono rinviate a futuro decreto che, alla luce degli stringenti requisiti e delle esigue risorse (non aggiuntive ma sottratte ad altri fondi), sarà riservato a una platea di beneficiari di appena 25.000 persone, pari allo 0,6% della popolazione anziana non autosufficiente in Italia (si veda la tabella alla fine del documento). La prestazione universale, insieme alle agevolazioni contributive e fiscali già previste, è una misura a sostegno delle famiglie e finalizzata esclusivamente all’assunzione di assistenti familiari (c.d. badanti) o all’acquisto di servizi di cura e assistenza forniti da imprese qualificate (non è chiarito se autorizzate-accreditate-convenzionate). Infine, non è previsto di sostenere e accompagnare la prestazione universale con la presa in carico da parte dei servizi territoriali e con il PAI. Così, si lasciano le famiglie completamente sole sul mercato privato a sopperire alla carenza di servizi pubblici.

Infine, considerata l’estrema selettività della prestazione (le persone sotto gli 80 anni non potranno beneficiarne, e solo gli over 80 con ISEE inferiore ai 6.000 e bisogno assistenziale gravissimo ne saranno eventuali destinatari) la misura risulta evidentemente inefficace: sia rispetto alla necessità di sostenere le famiglie dai costi, spesso insostenibili, del lavoro di cura, che per eradicare una delle grandi debolezze del settore del Lavoro Domestico, vale a dire l’enorme diffusione del lavoro irregolare e informale.

Il lavoro di cura

Quanto alla formazione del personale addetto all’assistenza degli anziani non autosufficienti, la Legge 33/2023 delega la definizione di percorsi formativi per i lavoratori dei servizi del territorio, a domicilio, nei centri semiresidenziali integrati e nei centri residenziali. Quella che sembra una rischiosa delega in bianco al Governo riguardo l’individuazione di “nuove e diverse figure professionali” contrasta con quanto già regolato in materia di Operatori Socio Sanitari e figure affini, ed è stata ulteriormente rinviata dal d.lgs. alla definizione di future linee guida a cui le regioni “potranno” fare riferimento – il che non garantirà comunque di “rendere omogenea l’offerta formativa per le professioni di cura”. Manca del tutto l’individuazione del fabbisogno di personale in relazione al sistema dei servizi e al loro modello  organizzativo. In riferimento alle assistenti familiari (c.d. badanti), invece, il decreto rinvia la definizione di linee guida che indichino percorsi formativi per acquisire i requisiti necessari per le attività di assistenza al domicilio, nonché strumenti di validazione delle competenze pregresse. Qui, l’individuazione dei percorsi di certificazione delle competenze non dovrà però tradursi nella creazione di una nuova qualifica professionale, eppure il d.lgs. risulta ambiguo al riguardo.

Quanto all’identificazione dei fabbisogni regionali di lavoro di cura e assistenza domestiche, è positivo che il d.lgs. preveda l’istituzione di appositi registri regionali nonché la sottoscrizione di accordi di collaborazione interistituzionale tra Centri per l’Impiego e ATS per favorire l’incontro domanda-offerta di lavoro delle c.d. badanti.

Caregiver

La definizione del ruolo e del profilo del caregiver non può prescindere dallo sviluppo e dal potenziamento della rete dei servizi e della presa in carico dell’assistito, anche al fine di consentire la reale possibilità ai caregiver di avere progetti di vita personali e scelte non vincolate in ambito lavorativo. Pare dunque positiva la previsione che le attività di cura e assistenza prestate dai caregiver, gratuite e non professionali, debbano essere incardinate nei piani assistenziali individuali, indispensabili a dosare il carico assistenziale. Meno positivo il fatto che la partecipazione del caregiver alla valutazione multidimensionale unificata e alla redazione del PAI risulti solo opzionale. Quanto alla certificazione delle competenze acquisite, al fine di favorire l'accesso o il reinserimento lavorativo, il d.lgs. allude a una corsia preferenziale per i caregiver all’accesso alla qualifica professionale di OSS. Pare scorretto sovrapporre il tema del riconoscimento del lavoro di cura gratuito a quello delle politiche attive del lavoro, prospettando una ulteriore ghettizzazione del lavoro di cura delle caregiver soprattutto donne, senza prospettare alternative effettivamente emancipatorie. Infine, la definizione del profilo del caregiver contenuta in questo d.lgs. avviene in parallelo all’iter avviato dal governo di un altro decreto: i due testi dovranno necessariamente essere armonizzati.

Promozione dell’autonomia, prevenzione, invecchiamento attivo, cohousing: nulla di fatto

La prima parte del d.lgs. contiene numerose disposizioni in materia di invecchiamento attivo, promozione dell’autonomia, prevenzione della fragilità e dell’isolamento, facilitazione digitale e cohousing. Il costante rinvio ad ulteriori provvedimenti è presente in quasi tutte le norme, che per ora rimangono dunque nell’alveo delle dichiarazioni di intenti. La martellante reiterazione di clausole di invarianza finanziaria in queste disposizioni, poi, così come il costante riferimento alla centralità del ruolo del volontariato, del servizio civile e dello scambio intergenerazionale, manifestano la volontà del Governo di non porre in capo al soggetto pubblico queste attività, ipotizzando l’impiego dei volontari che vi partecipano non come soggetti dal potenziale valore aggiunto, ma come “ripiego” alle risorse mancanti.

Infine, le soluzioni potenzialmente più interessanti sulle nuove forme dell’abitare, che possono prevenire le istituzionalizzazioni degli anziani, sono rinviate a successive norme, e sono riferite al solo cohousing, mentre occorre prevedere misure riferite anche agli alloggi individuali (che oggi riguardano la maggior parte degli anziani). Vanno invece criticate le nuove forme di domiciliarità e di coabitazione solidale domiciliare laddove integrano anziani con “giovani in condizioni svantaggiate”: così non si interviene su formazione e autonomizzazione di questi ultimi, operando una ghettizzazione dei soggetti vulnerabili di tutte le età. Andrà monitorata la definizione dei criteri di accesso e modalità che non generino iniquità, perché alla domanda di alloggio di giovani svantaggiati si deve rispondere con politiche di edilizia residenziale pubblica.

I costi a carico delle famiglie

Non attua la legge delega la mera ricognizione delle agevolazioni contributive e fiscali prevista dal D.lgs., poiché era invece prevista una rimodulazione delle agevolazioni che concorresse, insieme alle altre misure, a un sistema di sostegni alle persone e alle famiglie che assicurano le cure a domicilio. Ciò riduce la possibilità di costruire una nuova domiciliarità che, integrando nel PAI tutte le risorse disponibili (dall’ADI-SAD, ai servizi di sollievo, fino al sostegno delle c.d. badanti e dei caregiver e alle agevolazioni), deve poter assicurare una continuità di cura e assistenza fino a 24 ore tutti i giorni, ove necessario. Inoltre, così permane l’onere pesantissimo di rette e tariffe nei servizi residenziali e semiresidenziali a carico delle famiglie.

Senza risorse aggiuntive la riforma non c’è

Il nodo delle risorse è cruciale: il d.lgs. non ne prevede di aggiuntive. La sola Prestazione Universale viene finanziata, per due anni (2025-2026), sottraendo 250 milioni l’anno ad altri Fondi. Si provvederà infatti a valere sul Fondo per le non autosufficienze (150 mln totali nel 2025-2026), sul Programma nazionale «Inclusione e lotta alla povertà» (250 mln totali nel 2025-2026), e sulla Missione 5 del PNRR (100 mln). L’urgente necessità di consistenti incrementi delle risorse sia in ambito sanitario che sociale, più volte evidenziata dal sindacato durante tutto il percorso della legge delega, è purtroppo rimasta inascoltata ancora una volta.

In considerazione dei numerosi rinvii a provvedimenti successivi, la nostra organizzazione sarà impegnata a seguire con grande attenzione la definizione degli ulteriori atti normativi previsti (decreti ministeriali, intese, linee guida, leggi regionali, ecc). Occorrerà poi organizzare tutte le iniziative necessarie a ristabilire i principi e i criteri direttivi della Legge delega 33/2023, per assicurare l’attuazione di una riforma che abbiamo rivendicato per rispondere ai bisogni di milioni di persone anziane e delle loro famiglie, a tutela della dignità e i diritti della persona in ogni fase della vita, come afferma la Costituzione.