Roma, 18 maggio - Più che di smart working possiamo parlare di home working. L’82% delle lavoratrici e dei lavoratori ha iniziato a lavorare da casa con l’emergenza Covid19, e la stragrande maggioranza è “precipitata” nel lavoro smart senza alcuna riflessione su organizzazione del lavoro e degli spazi e senza adeguata preparazione, con evidenti differenze di genere. È quanto emerge dall’indagine promossa dall’ufficio politiche di genere della Cgil in collaborazione con la Fondazione Di Vittorio presentata quest’oggi dal segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, e dalla responsabile Politiche di genere della Confederazione Susanna Camusso in diretta su Collettiva.it

Dalle 6170 persone alle quali è stato somministrato il questionario online emerge, infatti, che abbiamo assistito ad un “semplice trasferimento a casa dell’attività svolta fino a qualche giorno prima in ufficio”. Quello sperimentato durante l’emergenza non è quindi smart working (ex legge n.81/2017), né telelavoro. Il 45% dei casi ha dichiarato che il lavoro non è cambiato, è cambiato parzialmente per il 32%, e solo totalmente per il 23%. Dai numerosi dati, contenuti nella ricerca, si rileva inoltre che nel lavorare da casa si presta poca o nessuna attenzione al diritto alla disconnessione (56%). Gli spazi sono stati ricavati (50%), oppure si assiste a un nomadismo casalingo (19%). Evidenti le disparità di genere: lo smart working è per le donne più pesante, complicato (+8% rispetto agli uomini), alienante e stressante ( +9%), mentre per gli uomini è più stimolante e soddisfacente, ed è maggiormente assimilabile al lavoro tradizionale.

Sul tema delle differenze di genere è poi intervenuta Susanna Camusso: “Lo smart working non può essere una forma di conciliazione. Le donne sono più penalizzate e discriminate, sia sul fronte relazionale che su quello prettamente professionale”. Per la responsabile Politiche di genere “servono regole per renderlo un lavoro effettivamente smart e non una trasposizione di un lavoro fordista dentro le mura di casa”.

Maurizio Landini, intervenuto a conclusione della conferenza stampa, sostiene che “dopo questa esperienza dobbiamo porci il problema di fare in modo che nei nuovi contratti collettivi e aziendali ci siano elementi che permettano di affrontare i bisogni di chi lavora in smart working, e quindi discutere di temi come il diritto alla disconnessione e alla formazione”. Infine, ha concluso Landini “lo smart working per essere un’esperienza positiva e soddisfacente per le lavoratrici e i lavoratori va organizzato e contrattato con le organizzazioni sindacali”.

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