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Dopo settimane di negoziati, il 16 luglio l’Unione europea ha raggiunto un accordo con la Repubblica tunisina che prevede il sostegno economico in cambio dell’attuazione di riforme economiche e del controllo delle frontiere.
Innanzitutto, occorre contestualizzare l’accordo: la Tunisia è uno stato che vive una crisi democratica apparentemente senza via d’uscita. Il Presidente Kaes Saied ha accentrato tutti i poteri sulla sua persona, sospendendo il potere legislativo del Parlamento e di controllo della magistratura. I principi della Costituzione democratica frutto della rivolta dei gelsomini, sono ormai messi a repentaglio. Il ruolo del dialogo sociale e del sindacato sono messi in discussione con arresti, intimidazioni e repressione. Persino la segretaria generale della Confederazione europea dei sindacati è stata dichiarata persona non grata ed espulsa dal Paese in occasione di una missione.
Il dissenso e la protesta sono criminalizzati, il nazionalismo ed il razzismo sono i nuovi tratti identitari che si stanno imponendo. La società civile che denuncia il trasferimento forzato nel deserto tra Libia e Algeria degli immigrati dell’africa sub-sahariana è additata come nemici della nazione, al soldo di interessi stranieri.
Povertà (20%), insicurezza alimentare (13%), disoccupazione (16%), inflazione (10%) aumentano e le casse dello stato sono vuote, a rischio fallimento se non si accettano le condizioni (riforme strutturali per contenere il debito pubblico considerato insostenibile) del Fondo Monetario Internazionale.
Per quanto riguarda la parte economica, è certamente positivo che l’accordo riguardi settori come l’agricoltura, l’economia circolare, la transizione digitale, il trasporto aereo e gli investimenti.
Negli ultimi mesi di fronte alla presenza di migranti sub-sahariani che fuggono da fame, povertà, guerre, siccità che arrivano in Tunisia per poi raggiungere l’Europa o fermarsi per un lungo transito, si sono avute reazioni razziste e di “caccia al nero”, come mai era accaduto finora. Sugli investimenti, e in particolare sulla Conferenza annunciata nell’accordo, auspichiamo che gli obiettivi dichiarati di lotta contro la povertà, la disoccupazione e l’esclusione sociale siano davvero perseguiti e non rappresentino un mero specchio per le allodole. La situazione di grave oppressione delle minoranze, della repressione del dissenso, della ritrattazione e cancellazione dei diritti acquisiti dalle donne e la messa in discussione persino delle organizzazioni sindacali (vincitrici del Premio Nobel per la pace) non depongono a favore di un clima di dialogo sociale presupposto per la crescita e il benessere degli stati democratici.
Chiediamo quindi al governo italiano condizionalità sociali in cambio di investimenti: tavoli di contrattazione, riconoscimento e rispetto delle parti sociali (imprese e sindacato), coinvolgimento nell’individuazione dei settori target e beneficiari diretti e indiretti.
L’Accordo rappresenta ancora una volta l’impostazione di esternalizzazione delle frontiere, che non condividiamo. Il testo è molto generico e parla di “una cooperazione economica e commerciale”, di “un approccio olistico alla migrazione” e di “porre rimedio alle cause profonde dell’immigrazione irregolare”. L’Unione europea si impegna a fornire un sostegno finanziario a Tunisi per fermare la partenza dei migranti (economici o richiedenti asilo, donne e minori…) in cambio di cooperazione economica e di finanziamento degli apparati di polizia marittima.
Inoltre, riteniamo vada chiarito il ruolo della Marina militare, della Guardia di finanza e delle Capitanerie di porto.
Non è comprensibile se il loro ambito d'intervento resti quello, già fortemente critico, di Frontex o se il controllo delle frontiere preveda un diverso impegno delle nostre Forze armate quali, ad esempio, un maggiore presenza nelle attività di blocco delle partenze, vero obiettivo del memorandum siglato tre UE e Tunisia.
L’obiettivo dichiarato più volte nel testo e nelle dichiarazioni della Presidente della Commissione europea è di combattere il traffico illegale di persone, non quello di eliminare le cause delle migrazioni forzate, non quello di costruire canali di migrazione legale e di investire nello sviluppo locale con priorità alle zone maggiormente povere, ma di attrezzare la guardia costiera a reprimere le partenze, accordando, per chi riuscisse ad attraversare il Mediterraneo, la piena collaborazione per accettare i rimpatri.
Nulla si dice della necessità di regolarizzare chi è in Italia e in Europa per eliminare sfruttamento e condizioni di vita disumane, facendo sì che queste persone riconquistino diritti e dignità, contribuendo con il proprio lavoro regolare a sostenere il loro spese con le rimesse de a pagare le tasse nel paese di accoglienza. Esempio virtuoso di contrasto alla tratta e al traffico illegale, imposto sui diritti umani e sulla legalità, e non sulla repressione e sui rimpatri.
Per quanto riguarda la transizione energetica verde, l’accordo presenta elementi positivi ma è lungi dal rappresentare un rapporto di partenariato fra eguali. Questo tipo di accordi ricalcano ancora la logista del donatore e percettore di fondi: la Tunisia contribuirà a rafforzare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e a fornire energia a basse emissioni e a prezzi competitivi, per l’Italia e l’Europa, mettendo a disposizione il suo potenziale di energie rinnovabili, l’Italia in cambio darà il suo contributo alla Tunisia per la realizzazione degli impegni assunti nell’ambito dell’Accordo di Parigi in tema di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico. È molto positivo che l’accordo si concentri sulle fonti energetiche rinnovabili, e sull’idrogeno verde, piuttosto che sul gas e su altre fonti fossili, ma non possiamo sostenere un atteggiamento predatorio sulle risorse di altri Paesi. Rivendichiamo quindi che lo sviluppo del partenariato sia accompagnato da una Governance partecipata che garantisca ricadute positive anche per la popolazione tunisina, in termini di autodeterminazione, giustizia sociale e climatica, rispetto dei diritti umani, piena occupazione. Per quanto riguarda la parte di sostegno dell’Italia alla Tunisia per il raggiungimento degli obiettivi di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, nel ribadire che anche questo processo dovrà avere una Governance partecipata, esprimiamo dubbi sulle capacità del Governo italiano di poter offrire un contributo ad un altro Paese, considerata l’incapacità di realizzare questi obiettivi in Italia.
Non vi è nessun riferimento alla partecipazione delle parti sociali, della società civile nella gestione e nel monitoraggio di quanto è scritto nell’Accordo. L'Unione europea avrebbe dovuto imporre condizionalità civili, sociali e di rispetto e ristabilimento dello stato diritto che invece non sono in alcun modo presenti in questo accordo su cui la CGIL esprime un giudizio complessivamente negativo.