L’ 8 e 9 settembre 2023 si è tenuto a Varsavia, presso la sede del sindacato polacco OPZZ, il convegno regionale di ILAW – International Lawyers Assisting Workers Network, a cui hanno partecipato avvocati, rappresentanti sindacali e accademici provenienti dai seguenti Paesi: Albania, Armenia, Georgia, Germania, Italia, Kazakistan, Kirghizistan, Moldavia, Polonia, Serbia, Stati Uniti, Ucraina e Uzbekistan.

→ Di seguito il rapporto


Rapporto sull’ILAW, International Lawyers Assisting Workers Network

L’evento svoltosi a Varsavia dall’8 al 9 settembre 2023 - scrive Marco Tufo - si è articolato in cinque sessioni, nel corso delle quali i partecipanti si sono confrontati sulle esperienze legislative e di relazioni industriali dei propri Paesi, relative a ciascun tema, e sulle iniziative da intraprendere al fine di migliorare le condizioni di lavoro nelle rispettive realtà nazionali e a livello transnazionale.
La prima sessione è stata dedicata al telelavoro. La discussione, moderata da Tamar Gabisonia (ILAW Regional Coordinator for Europe & Central Asia), ha preso le mosse da tre presentazioni basate su tre report nazionali, mediante i quali sono state esposte le discipline in materia di Moldavia (speaker Mihai Cebotari, Doctor of law, lawyer), Polonia (speaker Lucja Kobron Gasiorowska, Doctor of Law, attorney at NCKG Poland) e Ucraina (speaker Nadiia Yolkina, Lawyer at Labour Initiative, Ukraine). Di questi tre Paesi, solamente la Polonia era dotata di una legge sul telelavoro prima della pandemia. Peraltro, è emerso come in Moldavia e Ucraina neppure si possa parlare in senso tecnico di telelavoro, in quanto la normativa fa riferimento esclusivamente al lavoro a domicilio e al lavoro da remoto. La discussione si è focalizzata, oltre che sui diritti specifici dei telelavoratori, quale ad esempio la disconnessione, sull’accesso a queste forme di lavoro che in condizioni normali avviene per accordo tra le parti mentre in caso di emergenza - come durante la pandemia ma anche in occasione della guerra ucraina - per via unilaterale ad opera del datore di lavoro. Alcune limitazioni legali sono inoltre state registrate rispetto alla possibilità di lavorare da remoto da Paesi esteri, tema questo particolarmente sentito dai lavoratori ucraini, i quali preferirebbero effettuare la prestazione “virtuale” da Stati limitrofi all’Ucraina, non coinvolti dal conflitto in corso. La legislazione polacca, invece, risulta più avanzata, anche se rinnovata a seguito del Covid-19, sebbene in tale ordinamento rimangano ancora controversi i diritti di informazione e consultazione dei sindacati riguardo al telelavoro, il coinvolgimento dei sindacati stessi nell’introduzione e regolazione dell’istituto, i profili di salute e sicurezza nonché di qualificazione del rapporto di lavoro del telelavoratore. Meritano poi di essere segnalate le esperienze dell’Albania e di Georgia e Amenia. Nel Paese balcanico esiste un unico articolo di legge sul telelavoro, ai sensi del quale nessun compenso aggiuntivo è riconosciuto al telelavoratore che effettui la propria prestazione oltre l’orario di lavoro normale, mentre gli altri due Stati sono privi di una normativa in materia.
La seconda sessione, moderata da Jeff Vogt (Rule of Law director of the Solidarity Center and co-founder ofILAW), si è incentrata sul lavoro su piattaforma digitale. Dalle presentazioni dei relatori (Stanislaw Cieniuch, Country Program Director, Georgia; Evgeniya Li, Program coordinator at the Solidarity Center, Kirghizistan; Sergo Makharadze, Lawyer at the Georgian Trade Union Confederation; Jovana Misailovic, Research Assistant at the Institute of Comparative Law, Serbia) è emerso come tale fenomeno meriterebbe di essere regolato a livello globale, a causa delle differenti discipline nazionali attualmente esistenti. Si è anche osservato come riguardo al platform work vi sia una certa “passività” dei legislatori nazionali, in quanto solo in pochi Paesi esiste una normativa in materia. Tale inerzia legislativa è stata segnalata in particolare con riferimento alla Serbia, ove non solo non vi è alcuna legislazione sul platform work ma neppure un principio che consenta, diversamente da altri Paesi europei, di qualificare la prestazione lavorativa in base al suo atteggiarsi nel caso 
concreto. In questi termini, fondamentale è ritenuto l’apporto dei sindacati e della contrattazione collettiva, al fine di incrementare le tutele dei platform workers, come anche l’approccio casistico, che potrebbe aiutare a verificare se i criteri di qualificazione del rapporto di tali lavoratori utilizzati dalla giurisprudenza nazionale di uno Stato possano essere di ispirazione per elaborare criteri di qualificazione in altri Paesi. Si è anche discusso della Proposta di Direttiva UE sul lavoro su piattaforma, con focus sulla presunzione di subordinazione, la quale potrebbe notevolmente semplificare l’operazione giudiziale di qualificazione del rapporto. La discussione si è poi concentrata sull’esposizione della casistica sul food-delivery in Georgia e nel quadro internazionale (ad esempio in Spagna e Stati Uniti, e con riferimento a Uber).
Durante la terza sessione gli speakers (Kateryna Yarmolyuk-Kroeck, Doctor of law, Legal Consultant and Regional Organizer for Europe and Central Asia at StreetNet; Ulan Shamshiev - Legal expert on telework and migration, Kyrgyzstan; Anxhela Llalla, Attorney, Albania) e i partecipanti al convengno hanno discusso di lavoro informale, dedicando particolare attenzione alle condizioni di lavoro dei venditori ambulanti in Asia centrale e in Africa. È stato osservato come il lavoro informale sia assai difficile da combattere in quanto il diritto del lavoro è stato costruito sul lavoro regolare, da cui la necessità di creare strumenti ad hoc. 
Interessante è stato anche quanto riferito sull’Ucraina, ove, a causa della guerra, i venditori ambulanti hanno perso tutto, poiché, non essendo considerati dallo Stato come lavoratori, perché informali, sono rimasti privi di qualunque protezione sociale. Nel Paese si registra anche la tendenza, sempre a causa della guerra, a passare sempre più frequentemente dal lavoro formale a quello informale. Ciò accade frequentemente anche in Kazakistan con riguardo agli ex carcerati che, una volta scontata la pena, trovano difficoltoso il reinserimento nella società e nel mondo del lavoro, cosicché è per loro quasi una scelta obbligata lavorare irregolarmente. È anche stato sottolineato come pochi standards OIL riguardino il lavoro informale. Si tratta essenzialmente delle Raccomandazioni nn. 204/2015 e 202/2012 nonché della Convenzione n. 190/2019, la quale tra l’altro è stata ratificata solamente da 32 Stati membri. In Asia centrale, poi, vi sono altissime percentuali di lavoro informale, come in Kirgizistan (70%) o in Albania. Tale proliferazione del lavoro informale è stata ricondotta prevalentemente alla volontà di datori e lavoratori di risparmiare sui costi del lavoro, in particolare fiscali e previdenziali, mantenendo i salari più elevati rispetto a quelli che risulterebbero applicando le predette ritenute. Sarebbe quindi necessario migliorare l’operato degli Ispettorati del Lavoro, 
troppo spesso privi di risorse organizzative e di formazione per combattere il lavoro informale. 
Nella quarta sessione, moderata da Cassandra Waters (Senior Program Officer at Solidarity Center), è stato trattato il tema dell’interposizione, affrontato attraverso la descrizione della disciplina sugli appalti e sulla somministrazione in ogni Paese di provenienza di ciascuno speaker (Raisa Liparteliani - Vice President at Georgian Trade UnionsConfederation; Arjola Alika - International Legal Expert of BSPSH, Albania; Torsten Walter, LL.M. (Leicester) Referent, DGB Bundesvorstand Abteilung Recht und Vielfalt, Germania). La sessione ha anche riguardato i metodi di risoluzione alternativa delle controversie che, in materia di lavoro, l’Albania e l’OIL stanno sviluppando. 
Infine, la quinta sessione ha riguardato le discriminazioni sul lavoro (moderatrice Cassandra Waters; Gentian Sejrani - lawyer at NGO Social Justice, Albania; Natia Gvelesiani - Program officer at the Solidarity Center, Georgia; Nvard Piliposyan - Lawyer at Women’s Resource Center, Armenia). È emerso soprattutto come le legislazioni di Georgia e Armenia siano assolutamente insufficienti per fronteggiare il problema delle discriminazioni di genere. Mentre in Georgia sono state elaborate nel corso del tempo varie norme in proposito ma alquanto lacunose, perché inserite in una cultura legislativa di tipo patriarcale, in Armenia tali normative sono assai recenti (l’ultima risale al 2023) e sono prive di regole sulla ripartizione dell’onere della prova (come invece a livello UE), cosicché rimane totalmente a carico della/del lavoratrice/lavoratore discriminata/o dimostrare la discriminazione stessa. 
A conclusione dell’evento, i partecipanti si sono confrontati sulle iniziative da intraprendere per il futuro, ponendo particolare attenzione alla necessità di introdurre e/o incentivare l’insegnamento del diritto del lavoro (soprattutto in prospettiva OIL e collettiva) nelle Università dei Paesi dell’Europa dell’Est e dell’Asia centrale ex URSS. È stato anche proposto di realizzare una piattaforma online per i crowdworkers, mediante la quale gli stessi possano dialogare tra loro sul web e informarsi sulle proprie condizioni di lavoro, prendendo a modello piattaforme di questo tipo già esistenti. Infine, alcuni partecipanti hanno chiesto di incentivare la comunicazione e lo scambio di esperienze e informazioni tra i membri ILAW, al fine di trovare soluzioni ai problemi nazionali relativi ai temi discussi al convegno, nonché di sviluppare nuove ricerche su tematiche di interesse comune.