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Il 16 marzo il Consiglio dei ministri ha approvato il testo della legge Delega per la riforma fiscale. Non è ancora disponibile il testo ufficiale, tuttavia circola un testo che è ritenuto molto affidabile. Sulla base di questo testo, coerente con le indiscrezioni di stampa, le slide presentateci nell’incontro del 14 marzo scorso a Palazzo Chigi e le interviste del viceministro Maurizio Leo, riteniamo sia possibile esprimere un primo giudizio, e purtroppo non può che essere molto negativo.
In premessa è bene specificare che una legge delega, in quanto tale, non va a normare nello specifico le modifiche che delineeranno il sistema fiscale (aliquote, scaglioni, formule delle detrazioni, eccetera) ma agisce definendo i principi e i criteri direttivi, “e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”. Saranno i decreti legislativi, adottati dal Governo, a definire nel dettaglio i singoli temi. Quindi è evidente che l’impostazione generale della riforma se non cambiata durante il passaggio parlamentare rischia di cristallizzare gli elementi di iniquità che abbiamo sottolineato. Secondo il cronoprogramma del Governo, contenuto nelle slide di presentazione, l’approvazione definitiva della legge delega è attesa per il periodo maggio/giugno.
In questa definizione generale va registrata innanzitutto l’assenza di confronto con le parti sociali, che non sono state coinvolte nel percorso di preparazione di una riforma che riguarda tutti i cittadini. Se pensiamo all’IRPEF, la principale imposta del nostro ordinamento, il mancato coinvolgimento dei sindacati appare ancora più grave visto che su circa 41 milioni di contribuenti 22 milioni sono dipendenti e 14,5 sono pensionati, un totale di 36 milioni e mezzo di persone, quasi il 90% del totale. Sono cifre che avrebbero reso un dialogo assai opportuno. Risultano invece essere stati coinvolti altri soggetti, ad esempio, i commercialisti e le loro associazioni, anche in fase preparatoria. Le stesse dichiarazioni del viceministro Leo precedenti l’emanazione del testo sono state rilasciate quasi esclusivamente ad eventi organizzati da commercialisti e consulenti del lavoro.
Impostazione generale
Già dall’articolo 2, che definisce gli obiettivi della Delega, leggiamo che quello principale è “stimolare la crescita economica e la natalità attraverso l’aumento dell’efficienza della struttura dei tributi e la riduzione del carico fiscale, anche al fine di sostenere famiglie, lavoratori e imprese”. La legge, pare, descrive le tasse come una sorta di male da evitare, che devono essere ridotte per stimolare la crescita (e la natalità…). Questa premessa non ci convince per due ordini di motivi. Innanzitutto, la CGIL crede che le imposte siano la concretizzazione del patto sociale, poiché sono il mezzo attraverso cui si raccolgono le risorse per pagare il welfare pubblico, la sanità, l’istruzione, gli investimenti pubblici, a livello nazionale come locale. Inoltre, pensare che una riduzione generalizzata del gettito dell’imposta, che “meno stato, più mercato” porti ad una maggiore crescita, è un modello che la CGIL sperava non fosse più preso in considerazione da nessuno, specie dopo la pandemia di Covid che ha dimostrato quanto alle persone, nel momento della difficoltà, sia necessario un intervento pubblico e collettivo. Ciò non vuol dire che non si debba o non si possa ridurre l’imposizione fiscale su alcuni contribuenti, ma ciò deve essere fatto mantenendo un gettito sufficiente affinché l'operatore pubblico possa ottemperare a tutte le funzioni necessarie.
Inoltre, ricordiamo che la nostra organizzazione sta contestualmente chiedendo interventi per rispondere all’aumento del costo della vita a causa del picco di inflazione (9,2% a febbraio) dovuto all’aumento dei beni energetici, alla luce del fatto che molti sostegni contenuti nella Legge di bilancio scadranno a fine marzo. La CGIL ha da tempo richiesto infatti un intervento in decontribuzione (per aumentare il netto in busta anche ai lavoratori incapienti) fino a 5 punti sui redditi medi e bassi e la restituzione del fiscal drag, compensato dalla tassazione degli extra profitti, dall’incremento delle imposte sui redditi più alti e all’interno di una ricomposizione ed estensione della base imponibile. A tutto ciò ad oggi, non ci sono risposte.
Risorse
Viene da sé che una riforma fiscale che prevede solo riduzioni delle imposte pone il problema delle risorse a copertura. La spiegazione secondo cui esse saranno reperite all’interno del sistema attraverso il taglio delle tax expenditures (si veda di seguito) non sembra essere credibile, in quanto tale proposito è fallito più volte nella storia recente. Il rischio appare, quindi, che le minori entrate siano nel tempo compensate da minori uscite, ovvero da minore spesa pubblica.
Il tema delle risorse si interseca anche con la discussione, in corso, sulla nuova governance economica europea. Le regole che si stanno discutendo in sede europea vertono sul parametro della spesa primaria netta, ovvero la spesa pubblica annuale al netto di entrate discrezionali, degli interessi sul debito e degli effetti del ciclo economico. L’ultimo articolo della legge delega opera due importanti specifiche, ovvero prevede che dai decreti delegati “non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e non deve derivare incremento della pressione tributaria rispetto a quella risultante dall’applicazione della legislazione vigente”. Quindi le entrate fiscali rispetto al PIL non devono crescere, e contestualmente non devono essere previsti maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Queste dichiarazioni potrebbero essere finalizzate a rassicurare le istituzioni europee, specie in questa fase in cui la discussione sulla riforma della governance è nella sua fase più intensa. La trattativa per addivenire ad una norma sul rientro del debito con tempi più flessibili e in coerenza con le prospettive di crescita mal si coniugherebbe con una riduzione del gettito fiscale, che agisce direttamente sulla spesa netta primaria.
Da questa prospettiva, cioè contestualizzando la legge Delega all’interno del dibattito più importante di questa fase il quale determinerà le regole di politica fiscale europea e italiana dei prossimi anni, ciò che è scritto all’articolo 20 potrebbe determinare un sostanziale immobilismo, visto che non appare credibile la mobilitazione di risorse importanti dalle tax expenditures. Ma esiste anche la possibilità che l’azione di tagliare le imposte possa essere compensata da un robusto taglio della spesa, in modo che la spesa netta primaria non finisca sotto la lente della Commissione, specie nel momento in cui si discute del futuro, e delle flessibilità da concedere nel 2024.
Una terza possibilità sarebbe, per il Governo, assegnare, nella presentazione della riforma alla Commissione, elevati moltiplicatori della crescita alla riduzione della pressione fiscale, in contraddizione con tutta una serie di studi che assegna invece alla spesa per investimenti pubblici e consumi intermedi la capacità maggiore di moltiplicare i propri effetti sul PIL.
È quindi forte il rischio che la riduzione fiscale possa compensarsi in una riduzione della spesa pubblica per sanità, istruzione, welfare, servizi pubblici, magari con la responsabilità dei tagli “scaricata” sulle istituzioni europee.
Imposte sui redditi personali
Si parla, all’articolo 5, di revisione delle imposte personali sul reddito. In merito all’IRPEF, la legge definisce l’obiettivo di una aliquota unica. Nell’incontro con Governo del 14 marzo scorso ci è stata preannunciata, come primo step, una riduzione del sistema verso 3 aliquote, quindi meno progressività. Ricordiamo che l’IRPEF del 1974 constava di ben 32 aliquote, l’ultima delle quali, che si applicava solo ai contribuenti ricchissimi, ammontava al 72%. Senza voler replicare quel modello, rimane che ridurre il numero di aliquote significa non diversificare e ridurre la progressività. E l’obiettivo dichiarato, come scritto, è la flat tax, l’aliquota unica per tutti, che significa non riconoscere che lo stato debba chiedere imposte diverse perché diversa è la condizione e diversa è quella che la nostra Costituzione chiama la “capacità contributiva” tra chi guadagna 10.000 euro e chi ne guadagna 40.000, come è diversa quella di chi guadagna 40.000 da chi ne guadagna 100.000, 150.000 o milioni. È quella che sia chiama “equità verticale”
C’è poi un tema di ”equità orizzontale”. Ovvero, a parità di reddito, tutti dovrebbero pagare le stesse tasse. Ora non è così, visto che un reddito da lavoro, e ancor più un reddito da pensione è svantaggiato rispetto ad un reddito da lavoro autonomo in flat tax forfetari (che non viene abrogata dalla Delega), rispetto ad una rendita finanziaria o immobiliare, e nei fatti, per il fisco, nel concorrere al finanziamento dei beni pubblici le persone che per vivere devono lavorare sono costrette a pagare più di quanti vivono riscuotendo affitti, o cedole, o plusvalenze. E nulla di tutto ciò è messo in dubbio nella delega. Anzi, essa prevede addirittura l’estensione della cedolare secca anche per gli affitti di immobili non ad uso abitativo. Diversi studi hanno ormai accertato lo scarso successo della misura per recuperare l’evasione fiscale, specie ora che le tecnologie forniscono strumenti che non necessitano di riduzioni d’aliquota. Già la precedente sperimentazione di questa misura ha dimostrato che la riduzione dell’imposta non si trasmette ai canoni di locazione, oltre ad essere una violazione dell’equità orizzontale non giustificata da alcuna ricaduta positiva (che ha, invece, ad esempio, la cedolare 10% sui canoni concordati).
Inoltre, una misura già iniqua di suo, ovvero la flat tax incrementale per il lavoro autonomo, sembra voglia essere estesa anche al lavoro dipendente. Tale estensione appare particolarmente fuori luogo se applicata ai dipendenti che, nella gran parte dei casi, non hanno la possibilità di definire il proprio reddito.
Menzione merita anche la proposta di unificazione di redditi di capitale e redditi diversi la quale, specie nel momento in cui non vengono inseriti correttivi e limitazioni, fornisce possibilità di compensazione (perdite che vanno ad abbassare l’imponibile di guadagni su altri investimenti) che danno adito ad una serie di arbitraggi (ovvero comportamenti ai limiti dell’elusione) vista la facilità con cui è possibile “creare” minusvalenze ed abbattere, quindi, l’imponibile su cui pagare l’imposta.
La via da seguire è invece esattamente quella opposta. Come da piattaforma unitaria, è necessario estendere il più possibile la base imponibile affinché un reddito davvero “complessivo” del contribuente sia assoggettato ad un prelievo davvero progressivo.
Tax expenditures
Nell’incontro del 14 marzo il Governo ha più volte sottolineato che le risorse saranno trovate attraverso il “riordino” delle tax expeditures o spese fiscali, ovvero le detrazioni, deduzioni, i crediti d’imposta, gli oneri detraibili come spese sanitarie, per l'infanzia, le spese per l'istruzione, che in sede di 730 o modello redditi concorrono a determinare l'aliquota che è effettivamente pagata da lavoratori e pensionati. Sarà importante vigilare perché se a fronte di una riduzione formale dell’imposta si toglie la possibilità di scaricare le spese per la scuola dei figli, le spese per un parente anziano disabile, le spese per le cure sanitarie, a fine anno va a finire che le imposte invece di diminuire potrebbero finire per essere cresciute. La delega prevede la tutela delle spese fiscali che riguardano composizione del nucleo familiare e costi sostenuti per la crescita dei figli, il bene casa e quello della salute delle persone, l’istruzione, la previdenza complementare, gli obiettivi di miglioramento dell’efficienza energetica e la riduzione del rischio sismico del patrimonio edilizio esistente. Avere escluso questa vasta gamma di spese riduce di molto le possibilità di “riordino”. Tuttavia, sarà bene vigilare. La CGIL crede che se le tax expenditures vanno ridotte, tale taglio va effettuato esclusivamente sugli incentivi alle imprese, che dal 2015 ad oggi hanno cubato quasi 200 miliardi con risultati molto scarsi.
Tassazione della ricchezza
L’Italia è uno dei paesi al mondo con il maggiore debito pubblico, ed è notorio, ma è anche uno dei paesi con la maggiore ricchezza privata. Vuol dire che per decenni si sono socializzate le perdite e privatizzate le ricchezze. Più volte esponenti di maggioranza e governo hanno escluso l’ipotesi di una imposizione sui grandi patrimoni come anche una revisione della quasi nulla imposta di successione sulle grandi eredità. La delega sembra non voler riformare l’imposizione di queste basi imponibili, che in questo momento sono tassate in maniera diffusa e poco progressiva.
La valutazione della “capacità contributiva” dovrebbe considerare la situazione complessiva del contribuente, e non solo il suo reddito. Da questo punto di vista il patrimonio e/o i suoi frutti, effettivi o potenziali, possono fare la differenza, anche a parità di reddito.
Lotta all’evasione fiscale
La legge delega prevede di affrontare il tema dell’evasione attraverso degli accordi coi piccoli contribuenti e la collaborazione con le grandi imprese. Nel nostro paese l’evasione fiscale veleggia attorno ai 100 miliardi, dei quali solo 15 (e sono 15 di troppo) ascrivibili all’elusione internazionale dei grandi gruppi. Significa che la gran parte è evasione diffusa. Definire in un accordo quale debba essere l’importo delle imposte da versare o l’imponibile da considerare significa dare per scontata e tollerare l’evasione fiscale. Dopo i 12 condoni della legge bilancio 2023 si arriverebbe ad una sorta di “condono preventivo”.
Positiva invece appare la volontà di proseguire sulla telematizzazione e sull’incrocio delle banche dati. Chiediamo che questa parte debba essere tra le prime a vedere applicazione attraverso i decreti delegati.
Imposte sulle imprese
Si parla inoltre di ridurre l’IRES, l’imposta sui profitti delle imprese, e di abolire, in prospettiva, l’IRAP, ovvero l’unica imposta attraverso cui le imprese finanziano direttamente la sanità regionale. Se consideriamo che anche il lavoro autonomo e i piccoli imprenditori con la flat tax non pagano più le addizioni regionali e comunali abbiamo che il peso del fisco (quindi del welfare) locale è esclusivamente sulle spalle di dipendenti e pensionati.
La sostituzione dell’IRAP con una addizionale IRES non è una soluzione corretta, e rischia comunque di escludere molti contribuenti dal finanziamento del welfare, anche accentuando le diseguaglianze territoriali.
Più in generale, la riduzione delle aliquote IRES - da studio UPB 2018- è l’utilizzo di risorse con minore effetto moltiplicatore, in un contesto di assenza di politiche industriali pubbliche, diviene delega al privato nella direzione dell’economia. Nell’incontro a Palazzo Chigi la selettività è stata declinata con la reiterazione del “modello 4.0”; nella norma si parla di “riduzione dell’aliquota IRES in caso di impiego in investimenti, con particolare (quindi neanche esclusivo ndr) riferimento a quelli qualificati, e in nuove assunzioni”. Quindi comprendiamo che la qualità dell’investimento non è determinata dall’occupazione e sostanzialmente soddisfano questa condizionalità anche investimenti che fino ieri erano sostenute da poste aggiuntive, mentre diventeranno strutturale riduzione delle entrate. Almeno questo è stato comunicato durante l’incontro e mette in luce diversa lo slogan che ha accompagnato la presentazione della delega, vale a dire “più assumi meno paghi.”
Dobbiamo ribadire che il solo incentivo agli indirizzi di investimento non è una politica industriale. Essa necessita di intervento pubblico, dell’azione delle grandi partecipate, con investimenti massicci che trainino investimenti privati (anche incentivati). Se il tema delle politiche industriali si declina solo come politica tributaria, esso diventa poco controllabile a priori, poco indirizzabile nel suo percorso, e determinato esclusivamente dal calcolo del profitto individuale o aziendale. Si rischia, inoltre, di agire esclusivamente sulla domanda senza ristrutturare l’offerta di beni -tra cui gli investimenti- e servizi, specie nei contesti in cui il capitale ricerca la redditività a breve.
Fusione di Agenzia delle Entrate Riscossione in Agenzia delle Entrate
Questa proposta era presente anche nella scorsa delega. Non è accettabile che tale progetto venga messo in atto senza un preventivo e approfondito confronto con i lavoratori del settore.
In conclusione, possiamo affermare che la struttura della delega fiscale è in sostanziale continuità con quanto fatto dal Governo in legge di bilancio 2023, vale a dire privilegiare una impostazione corporativa sulla base degli interessi del blocco sociale di riferimento. È quanto di più distante dallo schema unitario di riforma condiviso da Cgil, Cisl e Uil: oltre al metodo sbagliato perché non ha visto il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, anche il merito è estremamente preoccupante. Per queste ragioni la rivendicazione di una riforma fiscale equa e progressiva, finalizzata allo sviluppo del paese è oggetto, oltre che delle conclusioni del nostro Congresso, anche delle iniziative di mobilitazione che intendiamo mettere in campo e sulle quali nei prossimi giorni verificheremo la disponibilità di CISL e UIL.