Di seguito pubblichiamo la Memoria consegnata in occasione dell’audizione svolta presso la I Commissione Affari Istituzionali e Generali della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, in data 7 novembre 2018, in merito ai procedimenti di attuazione dell’art.116, terzo comma, della Costituzione.


La CGIL continua a seguire con attenzione le iniziative intraprese - con tempi, modalità e merito differenti -, da molte Regioni, a cominciare da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, finalizzate al riconoscimento di maggiori forme e condizioni di autonomia in attuazione dell’art 116 terzo comma della Costituzione, avendo auspicato fin da subito un ruolo attivo di coordinamento e orientamento comune della Conferenza delle Regioni, finalizzato a garantire che il processo di ulteriore decentramento avvenga nel rispetto dei principi di solidarietà e coesione sociale. Pur consapevoli che la procedura costituzionale prevede intesa tra Stato e singola Regione, riteniamo infatti necessario, per l’unità del sistema paese, che siano fissati parametri e confini comuni per la determinazione delle specifiche competenze da attribuire e, soprattutto, per la quantificazione delle risorse ad esse connesse.
Il procedimento di attuazione dell’art. 116 terzo comma della Costituzione non può essere avulso dal più generale dibattito sulla definizione degli assetti istituzionali e delle relative competenze da affrontare in modo organico, in un’ottica di sistema, fuori da ogni emergenza e contingenza, con l’obiettivo di dare attuazione al Titolo V riformato nel 2001, superandone le criticità, prevedendo i necessari luoghi di cooperazione interistituzionale e valorizzando il principio di leale collaborazione, portando a compimento le disposizioni vigenti.
La CGIL ha sempre sostenuto la creazione di un sistema istituzionale decentrato, capace di valorizzare, in un quadro definito di principi inderogabili, il ruolo delle Regioni e delle autonomie locali e della loro specificità territoriale per la realizzazione di un sistema fondato su un federalismo cooperativo e solidale, ma ha sempre ribadito che qualsiasi provvedimento non debba intaccare l’unità del sistema paese, la garanzia dei diritti civili e sociali su tutto il territorio e l’unitarietà della contrattazione, determinando una frammentazione delle politiche pubbliche e una disarticolazione del sistema di diritti che sarebbero inaccettabili.
Siamo consapevoli che la richiesta di maggiore autonomia da parte delle Regioni trovi ragion d’essere anche nelle criticità del Titolo V e nella sua mancata piena attuazione, nelle politiche centralistiche degli ultimi anni e nella contraddizione tra un decentramento di competenze e una centralismo finanziario che negli anni di crisi economica ha aumentato esponenzialmente le difficoltà delle realtà locali. Tuttavia, non possiamo condividere un’impostazione secondo cui una problematica comune a tutte le amministrazioni (es. il blocco delle assunzioni, della capacità di spesa a fronte di risorse disponibili…) sia affrontabile con la “regionalizzazione” della rivendicazione, diventando da tema di difficoltà generale a motivo di esclusività, che l’efficienza, il benessere, gli stessi diritti fondamentali siano un bene limitato e non che la loro estensione sia una condizione di sviluppo necessaria per tutti.
La CGIL ritene, invece, si debbano introdurre norme nazionali per superare le difficoltà comuni a tutti i territori, si debbano definire prioritariamente tutti i Livelli Essenziali delle Prestazioni e le leggi di principio per le materie di legislazione concorrente nelle cui maglie l’autonomia regionale può e deve essere agita, in un’ottica di sviluppo e promozione delle specificità territoriali finalizzata a produrre avanzamenti comuni.
La differenziazione per essere efficiente e sostenibile, nel rispetto dell’unità economica e sociale e dell’art. 119 della Costituzione, non può prescindere dalla rimozione degli squilibri esistenti tra territori. Le disuguaglianze territoriali nell’esigibilità dei diritti civili e sociali fondamentali ancora oggi esistenti, rendono prioritaria la definizione dei LEP in tutte le materie e delle leggi quadro che fissino i principi universali di riferimento, e la determinazione dei fabbisogni standard ad essi strettamente connessi. Le redistribuzione delle risorse, nel rispetto del principio perequativo e solidaristico, deve infatti basarsi non sulla spesa storica (che cristallizzerebbe le insostenibili diseguaglianze oggi esistenti), ma sul graduale passaggio ai fabbisogni standard, da determinare in funzione del raggiungimento di quel determinato LEP o obiettivo di servizio, con quel determinato standard qualitativo, a garanzia dell’esigibilità in ciascun territorio del diritto specifico individuato.

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