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Il 16 ottobre 2024 si è tenuto, presso la CGIL Nazionale, il Seminario sui Consultori Familiari. A seguito di questa iniziativa – che è possibile rivedere qui – e al grande contributo dato dalle relatrici, riteniamo opportuno proporre un percorso sindacale attraverso la costruzione di una “cassetta degli attrezzi” che possa diventare strumento comune di azione e rivendicazione in tutti i territori.
Tenuto conto dei principi ispiratori contenuti nella Legge 405/1975, il quadro che ci consegna il territorio italiano sui Consultori Familiari (CF), messo in evidenza anche dal report della CGIL “I Consultori Familiari in Italia” (maggio2024), mostra come negli anni questi siano stati complessivamente depotenziati e messi in discussione a vari livelli.
I tagli e la razionalizzazione della spessa pubblica hanno ridotto il numero dei CF e il relativo personale, incidendo negativamente sia sull’offerta dei servizi che sulle prestazioni, ampliando le diseguaglianze territoriali.
La legge 34 del 1996 prevede un CF ogni 20.000 abitanti; nel 2022, a livello nazionale, risultavano 1.819 CF pubblici, cioè un CF ogni 32.000 abitanti: 1.131 in meno rispetto ai 2.950 necessari a garantire il livello standard previsto dal DM 77/22.
Importante risulta anche la carenza di personale: dall’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) 2018-2019 si rileva che le equipe multiprofessionali complete sono presenti in soli 921 CF; dunque, c’è un’equipe completa solo nel 50% dei casi, mentre nel 75,4% dei CF ci sono equipe o singoli professionisti operanti in più sedi.
Solo un’Azienda sanitaria o un Distretto su due ricorre alla consulenza di un mediatore culturale, nonostante i CF debbano garantire accesso libero e gratuito anche alle donne con background migratorio e ai loro figli e figlie.
Inoltre, se prendiamo a riferimento il numero di ore di lavoro delle quattro figure professionali che compongono l’equipe, e le rapportiamo a 20.000 abitanti, otterremo come orario medio di lavoro: 18 ore settimanali per i ginecologi e le ginecologhe, 36 ore per le ostetriche, 18 ore per gli psicologi e le psicologhe e 36 ore per gli assistenti e le assistenti sociali.
I dati smentiscono queste previsioni, visto che dall’indagine dell’ISS si apprende che le ore effettivamente lavorate sono notevolmente inferiori: rispettivamente, 12 ore, 25 ore, 17 e 11 ore.
Accoglienza, multidisciplinarità, libera scelta, informazione, punto di incontro tra istituzioni e volontariato sono state le basi che hanno caratterizzato i CF sin dalla loro istituzione.
A partire dalla loro creazione, i CF sono stati anche molto di più: presidi di emancipazione, cultura e liberazione femminista, luoghi di presa di coscienza di generazioni di donne giovani e meno giovani circa il proprio corpo e i propri diritti, non ultimi quelli alla salute sessuale e riproduttiva e all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), ma anche quella della seconda fase della vita femminile, quella della menopausa, quando questo stadio della vita delle donne veniva di fatto ignorato e trascurato da medici e mediche di medicina generale. Ma anche luoghi di incontro tra donne di culture diverse nonché primo luogo di sostegno per le più varie difficoltà familiari.
Smantellare i CF significa oggi demolire i luoghi di prevenzione, emancipazione e liberazione femminile: un progetto politico coerente con le politiche di promozione delle associazioni antiabortiste e di revanchismo del valore sociale della donna solo in quanto madre, propugnate dall’attuale governo.
I CF sono anche una grande risorsa per le e i giovani: la sessualità, l’affettività e la salute riproduttiva risultano temi su cui investire per promuovere azioni volte alla conoscenza del proprio corpo, all’educazione a relazioni sesso-affettive sane, alla prevenzione delle gravidanze indesiderate, delle malattie sessualmente trasmissibili, alla prevenzione della violenza di genere, delle forme di abuso veicolate dalle nuove tecnologie (come, ad esempio il revenge porn, il cyberbullismo, il grooming, ecc.), e all’educazione al rispetto della “diversità”.
Alcune realtà hanno di fatto affidato il servizio quasi esclusivamente al privato cattolico, che non interpreta ruolo e funzioni laicamente, e dove tutti i servizi collegati all’IVG vengono negati privando di fatto donne e cittadini di un diritto riconosciuto per legge.
Infine, vista la non omogenea distribuzione territoriale dei CF pubblici e dei servizi erogati sul territorio nazionale, anche la vertenza per i CF finisce per essere de facto un elemento naturale della campagna contro la Legge sull’Autonomia Differenziata.
La sfida oggi è quella di riportare i CF al loro ruolo originario e rilanciarli come una delle migliori esperienze del nostro SSN. Diversamente, il rischio è quello di omologarli alle tradizionali strutture di specialistica ambulatoriale, se non addirittura di trasformarli in agenzie ideologiche immaginate per aggredire la Legge 194/1978.