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In Italia si spalancano le porte dei consultori alle associazioni antiabortiste.
Mentre in Francia il Parlamento ha inserito il diritto di aborto tra quelli garantiti dalla Costituzione e il Parlamento Europeo ha votato a favore dell'inserimento dell'interruzione volontaria di gravidanza nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, Il 23 aprile, il Parlamento ha approvato definitivamente la Legge n. 56/2024 di conversione del DL n. 19/2024, che all’art. 44 quinquies contiene misure aggiuntive all’applicazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), con l’emendamento, firmato dal deputato Lorenzo Malagola di Fratelli d’Italia, contenente “Norme in materia di servizi consultoriali”.
Mentre l’art. 2 della Legge n. 194/1978, già prevedeva che “I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”, La legge n. 56/2024 stabilisce che: “Le regioni organizzano i servizi consultoriali nell’ambito della Missione 6, Componente 1, del PNRR e possono avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del Terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”.
Le differenze tra le due normative sono evidenti. Per la Legge n. 194/1978 spetta al Consultorio e dunque alle figure professionali che compongono l’equipe multidisciplinare, la valutazione e la scelta di avvalersi o meno della collaborazione di associazioni di volontariato, specificando chiaramente che tale collaborazione è finalizzata ad aiutare nelle maternità difficili, “dopo la nascita”, nella normativa appena approvata sono le Regioni a decidere tale eventuale coinvolgimento, con una scelta centralizzata, snaturando i compiti e le competenze dei consultori, con la chiara e antistorica finalità ideologica di promuovere e favorire la presenza delle associazioni antiabortiste nei consultori con i loro continui tentativi di colpevolizzare le donne e attaccare la loro libertà di autodeterminazione rispetto alla maternità.
Mentre è notevole lo zelo nell’ostacolare in ogni modo la libertà di scelta delle donne di decidere del proprio corpo e della propria vita, totalmente assente è l’attenzione del Governo alla condizione nella quale si trovano i consultori in Italia: pochi e alle prese con difficoltà strutturali per mancanza di risorse e personale.
I consultori familiari sono stati una grande conquista, frutto della mobilitazione dei movimenti femministi e per il diritto alla salute. La loro istituzione, avvenuta con la Legge n. 405/1975, ha anticipato le grandi riforme del ‘78: la Legge 194, la Legge 180 e la Legge 833 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale. Si è resa visibile così l'importanza del punto di vista di genere e della soggettività femminile, nel contesto delle relazioni sociali e nella stessa organizzazione dei servizi.
I consultori possono essere definiti come i primi veri servizi sociosanitari di prossimità, diffusi nel territorio, con competenze multidisciplinari, determinanti per la promozione e la prevenzione della salute della donna e dell’età evolutiva, per l‘assistenza alla famiglia e alla maternità e alla paternità. Con un modello di servizio fondato sull’integrazione tra sociale e sanitario e sulla partecipazione.
I bisogni che quasi cinquant’anni fa hanno sollecitato la nascita dei consultori sono ancora ben presenti, e altri bisogni, dovuti ai cambiamenti sociali, demografici e culturali intervenuti negli anni, si sono aggiunti e ne reclamano un potenziamento.
In anni più recenti, i consultori sono stati oggetto di due importanti interventi normativi: il DPCM 12 gennaio 2017 in base al quale le attività svolte nei consultori costituiscono livelli essenziali di assistenza (LEA), come previsto dall’art. 24, “Assistenza sociosanitaria ai minori, alle donne, alle coppie, alle famiglie”, e il DM n. 77/2022 che ha definito modelli e standard per lo sviluppo dell'assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale in attuazione della Missione 6 del PNRR, indicando nel capitolo dedicato ai “Servizi per la salute dei minori, delle donne, delle coppie e delle famiglie” che “il consultorio familiare e nell’attività rivolta ai minori, rappresentano la struttura aziendale a libero accesso e gratuita e sono deputati alla protezione, prevenzione, promozione della salute, consulenza e cura rivolte alla donna in tutto il suo ciclo di vita (comprese quelle in gravidanza), minori, famiglie all’interno del contesto comunitario di riferimento”. Viene inoltre confermato lo standard strutturale di “un consultorio familiare (CF) ogni 20.000 abitanti con la possibilità di 1 ogni 10.000 nelle aree interne e rurali”.
Tuttavia, il capitolo è privo di prescrizioni vincolanti per le Regioni, salvo il richiamo all’art. 24 del DPCM 12 gennaio 2017 sui LEA e allo standard strutturale di un consultorio ogni 20 mila abitanti (10 mila nelle aree interne e rurali). L’assenza nel DM di prescrizione di questo servizio nelle Case della Comunità, e ancor più la mancanza di indicazioni di standard strutturali e di personale per le Case della Comunità spoke, rappresenta una grave carenza organizzativa e limita il possibile miglioramento del soddisfacimento dei bisogni di salute.
I nuovi bisogni di salute indotti dai cambiamenti demografici e sociali, rendono i consultori servizi ancora più necessari, e per questo occorre una forte azione per difenderli e soprattutto per potenziarli e garantirli in ogni territorio.
Oggi i consultori versano in una condizione di profonda criticità: sono pochi, privi di risorse economiche e del personale necessario, come già confermato dai dati dell’ultima Relazione al Parlamento sull’attuazione della Legge 194/1978 del Ministero della Salute e dall’indagine condotta negli anni 2018-2019 dall’Istituto Superiore di Sanità (il fatto che sono passati 5 anni dall’indagine è sintomatico del disinteresse verso i consultori) dove si rimarca la necessità di arginare il “progressivo e diffuso depauperamento delle sedi e delle equipe dei consultori familiari”.
Nel 2021 a livello nazionale risultano 1.871 consultori familiari pubblici, dunque, ce ne sono 1.078 in meno (pari a -57,6%) rispetto ai 2.949 necessari a garantire il livello standard di un consultorio ogni 20 mila abitanti che viene garantito in sole tre Regioni: Valle d’Aosta, Emilia Romagna e Umbria. In media c’è un consultorio ogni 32 mila abitanti con profonde differenze tra le regioni: si passa da un bacino di 12 mila abitanti per consultorio in Valle d’Aosta a 49 mila in provincia di Trento, a 48 mila in Molise fino a 66 mila abitanti in Lombardia.
Profonde sono anche le differenze nelle prestazioni offerte, come nelle figure professionali presenti, che risultano comunque sempre sotto gli standard. Per quanto riguarda il personale, l’indagine dell’IIS ha analizzato la presenza delle quattro figure di base dell’equipe consultoriale: ginecologi, ostetriche, psicologi e assistenti sociali. Ad essi si aggiungono infermieri, operatori sanitari, pediatri e mediatori culturali. Le equipe complete sono presenti in 921 consultori, dunque c’è un’equipe completa ogni due consultori e nel 75,4% dei consultori ci sono equipe o singoli professionisti operanti in più sedi.
E’ indispensabile, in applicazione della legge istitutiva dei Consultori, aumentare e allargare le attività consultoriali, ampliando il servizio offerto a quelle relative ai minori e alle famiglie, ad esempio rafforzando il sostegno psicologico e sviluppando le attività proattive che possono e debbono essere svolte con le comunità territoriali.
Il numero di ore di lavoro settimanali delle quattro figure professionali dell’equipe indicate dall’Istituto Superiore di Sanità per rispondere al mandato istituzionale e rapportate a 20 mila abitanti (standard di riferimento inadeguato ai bisogni) è mediamente di 18 ore per i ginecologi, 36 ore per le ostetriche, 18 ore per gli psicologi e 36 ore per gli assistenti sociali. Rispetto a tali standard, le ore effettivamente rilevate dall’indagine dell’IIS sono notevolmente inferiori: 12 ore per i ginecologi, 25 ore per le ostetriche, 17 ore per gli psicologi e 11 ore per gli assistenti sociali.
Notevoli le differenze tra le Regioni: per i ginecologi si passa da 22,4 ore in Emilia Romagna a 5,4 ore nella Provincia autonoma di Bolzano, per le ostetriche si passa da 80 ore nella Provincia autonoma di Trento a 12,4 ore in Liguria, per gli psicologi si passa da 31,2 ore in Lombardia a 1,9 ore in Piemonte, per gli assistenti sociali si passa da 29,8 ore in Basilicata a 0 ore in Valle d’Aosta. Si rileva un generale sottodimensionamento del personale: solo in pochissime regioni vengono garantite le ore necessarie e mai per tutte le figure professionali dell’equipe.
Per garantire il rispetto degli standard indicati per l’equipe consultoriale è necessario incrementare gli organici di: +33% per i ginecologi, +31% per le ostetriche, +6% per gli psicologi, +63% per gli assistenti sociali.
In 14 Regioni esistono linee guida per alcune delle attività svolte dai consultori, 13 Regioni effettuano una programmazione periodica degli obiettivi ma solo 4 (Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Sicilia) redigono annualmente una relazione consuntiva degli obiettivi raggiunti. Solo 6 Regioni dispongono di fondi dedicati ad attività consultoriali. In 11 Regioni tutte le prestazioni consultoriali vengono erogate gratuitamente. In 8 sono gratuite solo le prestazioni che rientrano in alcuni ambiti assistenziali come ad esempio il percorso nascita. Alcune regioni prevedono un ticket per accedere alle prestazioni.
L’81% dei consultori offrono servizi nell’area coppia, famiglia e giovani e gli argomenti più trattati sono la contraccezione, la sessualità e la salute riproduttiva, le infezioni/malattie sessualmente trasmissibili e il disagio relazionale. Tra i consultori che hanno svolto attività nelle scuole il tema più frequentemente trattato è l’educazione affettiva e sessuale (il 94%), seguito dagli stili di vita, dal bullismo e dal cyberbullismo.
Su 1.438 consultori che dichiarano di svolgere attività sul tema della contraccezione, 510 (pari al 35,5% del totale) offrono gratuitamente i contraccettivi: il 9,9% a tutti, il 6,1% a utenza a basso reddito, il 4,7% solo ai giovani, il 14,7% a destinatari individuati con una combinazione di diversi criteri. Il 77,7% dei consultori offre attività rivolte alle donne in menopausa e post menopausa.
Governo e Regioni devono farli funzionare, garantire risorse e personale necessario del servizio pubblico: facciano funzionare le equipe multidisciplinari, facciano entrare ginecologi, ostetriche, psicologi, assistenti sociali, assistenti sanitari, mediatori culturali, personale amministrativo, anziché antiabortisti.
La gravissima carenza di personale non consente di svolgere le funzioni e attività fondamentali che la legge affida ai consultori. Frequenti sono i casi in cui i pochi professionisti rimasti sono sottoposti a carichi di lavoro rilevantissimi, e spesso quasi esclusivamente adempimenti burocratici. Attività di screening, educazione, prevenzione e promozione della salute, assistenza psicologica post partum, prima assistenza in caso di violenza, interruzione di gravidanza sono tutte attività consultoriali che negli anni hanno subito una forte riduzione. Una situazione che concorre ad accrescere le disuguaglianze tra persone e territori.
E’ di fondamentale importanza, affinché si abbia un preciso e puntuale quadro dello stato dei Consultori Familiari, la pubblicazione periodica dei dati raccolti tramite il Sistema informativo per il monitoraggio delle attività erogate dai consultori familiari (SICOF).
Dal momento che il sistema informativo dei consultori previsto dal PNRR M6C2 Investimento 1.3.2. Sub investimento 1.3.2.2.1. (23A05205), è stato realizzato e, dal momento che il rilascio dei primi dati, relativi al secondo semestre 2023, era previsto entro lo scorso mese di marzo 2024 se ne chiede la pubblicazione immediata.
E’ necessario restituire ai Consultori il loro ruolo centrale di presidio della salute pubblica, nel percorso di vita dalla nascita all’invecchiamento. Devono essere luoghi dove avviene la presa in carico della persona, in cui vengono accolti e riconosciuti i bisogni di salute e di cure in un’ottica di genere, consapevoli che l’approccio di genere nelle politiche della salute è indispensabile da parte di tutti i servizi del welfare.
Come già da tempo rivendicato dalla CGIL, occorre:
- garantire i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), riferiti all’assistenza sociosanitaria ai minori, alle donne di tutte le età, alle coppie, alle famiglie, e quindi ai consultori, con standard e indicatori nazionali per verificare il rispetto degli adempimenti da parte delle singole Regioni; definire i corrispondenti LEP Sociali senza i quali non può esserci vera integrazione;
- predisporre un piano straordinario di investimenti sui consultori pubblici, per garantire un loro pieno potenziamento dal punto di vista infrastrutturale e del personale, per garantire tutte le funzioni e attività che per legge sono ad essi attribuite;
- sviluppare le funzioni dei consultori e la loro diffusione raggiungendo lo standard nazionale di 1 consultorio ogni 20 mila abitanti, come previsto dalle norme vigenti con un‘Intesa in Conferenza Unificata per stabilirne tempi e modalità;
- sostenere piani di assunzioni mirati, da parte delle singole Regioni, in base alle diverse situazioni, riferiti alle figure professionali necessarie per garantire le equipe multidisciplinari e tutte le funzioni e attività attribuite ai consultori comprese le figure professionali necessarie ad affrontare tutti i temi legati alla salute sessuale e riproduttiva, in una ottica di inclusione delle diverse identità di genere e dei diversi orientamenti sessuali, delle donne migranti, delle persone disabili;
- garantire gratuitamente i contraccettivi;
- inserire nel Fondo sanitario nazionale 2024 un finanziamento aggiuntivo e vincolato per i Consultori Familiari per tutte le Regioni;
- garantire da parte di Regioni, università e strutture sanitarie la promozione della formazione e informazione del personale sanitario e ausiliario di tutti i percorsi di supporto e assistenza alla donna;
- garantire il pieno rispetto della Legge n. 194/1978 e la piena attuazione delle Linee di indirizzo del Ministero della Salute sulla interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmacologico; garantire a tutte le donne, in tempi certi, la possibilità di accedere alla IVG farmacologica, anche in regime ambulatoriale;
- intervenire per superare la presenza di obiettori, anche nei consultori, ricorrendo a tutti gli strumenti necessari, anche attraverso percorsi di reclutamento e contratti ad hoc;
- istituire un apposito tavolo di monitoraggio, aperto a tutti i soggetti istituzionali e sociali rappresentativi, sull’attuazione delle Linee di indirizzo del Ministero della Salute sul ricorso all’aborto farmacologico, nonché sulla presenza di personale obiettore di coscienza dettagliata per ogni struttura ospedaliera e ogni consultorio; anche a tal fine si chiede il superamento dell’anonimato nel dato fornito nel rapporto annuale per gli ospedali che hanno un rapporto IVG/ginecologo sopra la media;
- impedire la presenza di associazioni e movimenti antiabortisti all’interno dei consultori. Da questo punto di vista sono significative e apprezzabili le dichiarazioni di indisponibilità a far entrare tali associazioni nei consultori espresse dalle Regioni Emilia Romagna, Toscana, Puglia, Campania e Sardegna.