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Il 19 dicembre 2022 è stato pubblicato il quinto rapporto Auditel-Censis dal titolo “La transizione digitale degli italiani. Dal boom degli schermi connessi (sono quasi 100 milioni) alla banda larga il Paese, grazie alla televisione, corre verso la modernità”.
Si tratta di uno studio basato sui dati di una ricerca Auditel che, su un campione di 20 mila abitazioni visitate e 41 mila interviste faccia a faccia, evidenzia con nettezza quanto sia esponenziale la crescita nell’utilizzo delle tecnologie digitali.
Sebbene infatti la spesa complessiva delle famiglie italiane si sia ridotta lo scorso anno del 5,4% rispetto al 2017, quella per computer, smart tv e smartphone ha continuato a crescere, facendo registrare un aumento pari al 92% rispetto allo stesso anno per la sola telefonia (principalmente smartphone), per un valore complessivo di 7,86 miliardi di euro.
Ad aumentare è stata anche la spesa per computer, tablet e smart Tv, per un valore che nel 2021 ha raggiunto i 10,63 miliardi di euro, in crescita del 49,4% rispetto al 2017.
Il rapporto ci dice inoltre che ogni famiglia italiana dispone in media di cinque device, a conferma del fatto che la richiesta di connettività è notevolmente aumentata in questi anni, complice la pandemia che ha spinto quasi tutte le fasce della popolazione ad aprirsi al digitale e all'uso delle nuove tecnologie.
I dispositivi collegati a internet all'interno delle abitazioni sono infatti 93 milioni e 200 mila, a fronte dei poco meno di 74 milioni del 2017.
Tra questi, al primo posto ci sono 48 milioni di smartphone, aumentati di oltre sei milioni negli ultimi cinque anni, seguiti dalle televisioni (circa 43 milioni).
E’ importante segnalare che dei 43 milioni di apparecchi, 16 milioni e 700 mila sono smart tv o dispositivi esterni connessi, un numero che ha visto un boom del 210,9% rispetto al 2017, il che conferma il cambiamento anche culturale nell’approccio ai contenuti, sempre più slegato dalla fruizione di tipo “generalista” e sempre più “on demand”.
Anche i pc collegati e i tablet hanno registrato un incremento: +7,6% dal 2017 a oggi i primi e +4,4% i secondi. Questo aumento deve sicuramente la sua accelerazione al passaggio al digitale terrestre di seconda generazione da una parte e agli avanzamenti in tema di banda larga dall’altra.
Su quest’ultimo tema pero come è noto la situazione sul territorio nazionale è largamente disomogenea: oggi 14 milioni e 700 mila famiglie, il 61,7% del totale, vivono in zone che sono coperte dalla banda larga (cinque anni fa erano 13 milioni e 200 mila), mentre restano esclusi dalla copertura nove milioni di nuclei familiari (il 38,3% del totale), residenti perlopiù nelle regioni del Sud e delle Isole. Insieme a loro, ad essere penalizzati vi sono gli abitanti dei centri minori.
Anche qui i dati sono chiari: il 53,1% delle famiglie residenti nei piccoli comuni ha accesso alla banda larga contro il 73,4% di quelle che vivono nei centri maggiori.
A queste esclusioni di tipo geografico vanno inoltre aggiunte quelle di tipo anagrafico (o di coloro che possiedono un basso livello di istruzione), che vedono non connessi ad internet due milioni e 300 mila nuclei famigliari, composti per la quasi totalità da over 65.
Quanto sopra rende plasticamente evidente, ancora una volta, quanto i fondi messi a disposizione dal PNRR rappresentino una occasione unica e imperdibile per dotare entro il 2026 tutta l’Italia di reti ad altissima velocità, fisse e mobili.
Colmare il gap che ancora condanna quasi il 40% del territorio nazionale ad uno stato di arretratezza digitale (e non) non è più sostenibile né tollerabile.
Sfortunatamente però questa opportunità sembra non essere stata colta appieno, prova ne sono i problemi riscontrati fin dalla emanazione dei primi bandi riguardanti le operazioni meno appetibili dal punto di vista commerciale, che sono andati in prima battuta deserti.
Se a questo si aggiunge la confusione riguardante la modalità con cui il Governo vorrà procedere per la definizione di una (?) rete unica, e dunque anche riguardo alle scelte che determineranno la sopravvivenza o al contrario la fine di Tim, le condizioni ci sono tutte per affermare che manca la reale consapevolezza di quanto questo appuntamento con la storia rischi di essere mancato.
Da una parte abbiamo vite che sono ormai interconnesse, tanto da veder coniato il termine “onlife”, a indicare l’imprescindibilità nell’utilizzo di tecnologie che ci “connettono” al resto del mondo, dall’altra, una discussione completamente schizofrenica, tutta avvitata sulla “necessità” di separare la rete dai servizi che vi transitano sopra.
Un altro recente rapporto di Anitec-Assinform intitolato "Il digitale in Italia 2022", stima che nell'anno appena iniziato il mercato digitale italiano dovrebbe raggiungere un ammontare complessivo di 79,13 miliardi di euro (più 3% rispetto al 2022). Mentre per i successivi anni si ipotizza un incremento addirittura più sostenuto, ovvero più 4,8% nel 2024 e più 5,3% nel 2025, anno in cui questo settore dovrebbe, secondo le previsioni, superare gli 87 miliardi di euro.
Guardando ai singoli comparti, sono i servizi Ict a fare un balzo in avanti (più 7,2%), spinti soprattutto dal mercato cloud (più 25,5%), e da contenuti e pubblicità digitale (più 7,1%).
Mentre nel periodo 2023-2025 tutti i comparti sono previsti in crescita, l’unica eccezione è rappresentata dai servizi di rete.
Noi continuiamo a ribadire che il cavo, di per sé è inerte.
Ragionare per compartimenti stagni, separando dove servirebbe integrazione, è anacronistico e antistorico.
Manca un progetto. Manca la visione di ciò che deve essere la reale architettura infrastrutturale del paese, su cui si possano solidamente poggiare le basi per realizzare e consolidare la transizione digitale.
E poi manca del tutto un’idea di politica industriale in grado di rilanciare, invece che affossare (questa volta per sempre), l’incumbent nazionale, e con esso migliaia di lavoratrici e lavoratori.
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