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Di seguito riportiamo la “Relazione annuale AGCOM sull’attività svolta e sui programmi di lavoro” presentata ieri, 19 luglio.
All’interno del corposo documento ci sembra utile evidenziare alcuni passaggi che riguardano la perdita di valore di mercato nelle telecomunicazioni registrata (-13,7% in 5 anni) e i possibili impatti dovuti all’incertezza sulla sorte dell’incumbent nazionale.
Entrambi questi temi sono infatti fortemente condizionanti rispetto alla possibilità di costruire (e mantenere nel tempo) una rete di telecomunicazioni ad alta capacità, conditio sine qua non per garantire al nostro paese quella trasformazione digitale che è alla base delle sfide del PNRR (e non solo).
Quello che i dati mostrano plasticamente è un quadro in cui al calo di ricavi corrisponde un calo di investimenti, considerato che nel 2022 gli impegni in infrastrutture di rete si sono ridotti del 7,3% passando da 7,49 a 6,95 miliardi di euro.
Nella rete fissa, stando ai dati Agcom, si registra una flessione complessiva del 4,2%, mentre i soli investimenti di Tim segnano un -25,4% (in controtendenza rispetto agli altri operatori esaminati, che invece fanno registrare una crescita).
Se guardiamo alla rete mobile la situazione è anche più preoccupante (-12,8%) con gli investimenti di Tim in calo del 21% a fronte di una riduzione del 9,6% osservabile per gli altri operatori.
In questo scenario, il presidente Lasorella ha parlato di un’azione del regolatore «fortemente condizionata dall’incertezza relativa alla possibile trasformazione, peraltro ancora in corso, degli assetti strutturali e proprietari dell’operatore dominante».
Su questo punto non possiamo che ribadire, ancora una volta, quanto la vicenda Tim sia centrale e al tempo stesso allarmante.
I numeri parlano chiaro: in un mondo in profonda trasformazione come quello delle telecomunicazioni, in cui si registrano fusioni nelle attività retail (Linkem e Tiscali) e l'entrata di nuovi operatori “in segmenti di mercato precedentemente non presidiati: Iliad e PostePay nella rete fissa”, separare l’infrastruttura di rete di TIM dall’insieme dei servizi che creano valore aggiunto, determinerà non solo la fine dell’ultimo grande Player nazionale, ma darà sostanza anche al rischio di consolidare il trend sopra citato, per il quale a minori ricavi corrispondono minori investimenti.
A pagarne le spese saranno non “solo” le lavoratrici e i lavoratori, ma il sistema paese tutto.
Per questo continuiamo a sostenere che i rischi legati alla decisione di vendere la rete Tim avranno un impatto determinante in un settore che ha subito negli anni i peggiori effetti dei processi di liberalizzazione e che necessiterebbe, di fronte alle sfide che ci attendono, di scelte di politica industriale in grado di guardare agli interessi del paese e alla salvaguardia di una delle ultime grandi aziende italiane.
In questa cornice gli enormi ritardi accumulati sugli obiettivi del PNRR preoccupano ulteriormente, perché sebbene i numeri della relazione parlino di un incremento nel passaggio delle linee dalla tecnologia FTTC a FTTH (con differenze non marginali tra il Nord e il Centro, da una parte, e il Sud e le Isole dall’altra), continua a permanere un gap insostenibile tra le Aree nere o grigie del paese e quelle Bianche (a fallimento di mercato), che riguardano, lo ricordiamo, circa il 40% della popolazione.
La relazione pone infine l’accento sull’impatto che questa fase di trasformazione sta avendo anche sui media, dove il declino del campo editoriale (stampa quotidiana e periodica) sembra consolidarsi, la televisione resiste e crescono i ricavi radiofonici.
Quello che fa registrare una impennata maggiore però è il traffico (e i ricavi) sui servizi on demand offerti su piattaforme internet. Questo dato non fa che confermare quanto l’intreccio tra contenuti e rete è e sarà sempre più strategico. Al tempo stesso pone però un problema riguardo alla necessità di presidiare questo settore perché si tratta, come è stato evidenziato nella relazione, di “fattori potenzialmente in grado di stravolgere «l’assetto del mercato influenzando profondamente il pluralismo»”. Un tema certamente non secondario.