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Il 19 gennaio tutte le sigle sindacali francesi (CFDT, CGT, FO, CFE-CGC, CFTC, Unsa, Solidaires e FSU) hanno indetto una giornata di sciopero generale e mobilitazione totale in ogni città del Paese contro la nuova riforma previdenziale, presentata dalla premier Elisabeth Borne il 10 gennaio.
Questa riforma prevede innanzi tutto l’innalzamento dell’età pensionabile, che passerà con rapida progressione da 62 a 64 anni. Contemporaneamente, viene allungato il periodo contributivo necessario, arrivando a 43 anni complessivi: tutto ciò annullando di colpo ogni elemento di progressività previsto dalle riforme precedenti.
Viene cancellato ogni regime “speciale” per i lavoratori dipendenti, previsto in Francia fino ad oggi per alcune categorie specifiche e in particolare per i lavori usuranti, e viene invece mantenuto per i lavoratori autonomi e per l’avvocatura.
Niente di nuovo e favorevole, rispetto al diritto attuale, è previsto per i lavoratori in situazione di invalidità, di inabilità e di handicap, né per quanti portatori di una “lunga carriera” lavorativa. Anche l’annunciato innalzamento della pensione minima è in realtà una misura obbligatoria, prevista (all’85% del salario minimo) da una legge del 2003 e ancora in gran parte inapplicata.
E’ una riforma, come dichiarato dalla stessa Premier Borne, funzionale ad evitare l’aumento del deficit e ad impedire che il sistema pensionistico francese sia tenuto in equilibrio attraverso l’aumento delle tasse.
Una riforma dunque – come evidenziano i sindacati francesi – perfettamente figlia di quella cultura dell’austerity che ha governato le scelte economiche e politiche dell’Europa per tanti, troppi anni.
Un ritorno alle impostazioni ideologiche “pre-pandemia”: fare cassa sulle spalle di lavoratori e pensionati, tagliando lo Stato sociale e i diritti dei lavoratori dipendenti. E, al tempo stesso, non affrontare i nodi dell’iniquità fiscale attraverso la tassazione delle rendite più alte, dei patrimoni più cospicui o dei profitti (e degli extra-profitti) ricavati magari attraverso la speculazione finanziaria o proprio “grazie” alla crisi economica e alle emergenze conseguenti al Covid e alla guerra in Ucraina.
Vale la pena sottolineare che questa riforma era stata tentata già nel 2019 e fu fermata, allora, dalle massicce proteste sindacali e sociali, che videro scendere uniti nelle piazze francesi lavoratori, studenti e pensionati.
Non è un caso, dunque, che venga riproposta oggi: perché è in atto in tutta Europa il tentativo esplicito di “chiudere” l’approccio più sociale emerso in seguito alla crisi pandemica (il programma NextGenerationEU, l’attenzione all’inserimento del Pilastro Sociale nelle raccomandazioni del Semestre Europeo, la direttiva su salario minimo e contrattazione collettiva) e ritornare invece rapidamente alla situazione ex-ante, che ha scaricato unicamente su lavoratori e pensionati le conseguenze della crisi economica del 2008. I segnali, in questo senso, si moltiplicano rapidamente in tutta Europa.
Anche le scelte inique fatte con l’ultima Manovra dal governo italiano attuale (nessun intervento sulla rivalutazione delle pensioni o contro la precarietà, nessuna lotta all’evasione fiscale, introduzione di elementi di “flat-tax” per i redditi e i profitti più alti, interventi inadeguati sugli extra-profitti, attacco alle misure di contrasto della povertà…) vanno proprio nel senso di quell’impostazione fallimentare che ha prodotto traumi, diseguaglianze e crisi sociali. Impostazione che speravamo di esserci lasciati alle spalle.
Per questo la CGIL è a fianco dei sindacati francesi e sarà in piazza con loro, il 19 gennaio. Insieme alla Confederazione Europea dei Sindacati: dove intensificheremo la nostra azione politica per impedire il ritorno delle politiche di “austerity” usate come grimaldello neoliberista per colpire i diritti e lo stato sociale.