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L’analisi dell’Osservatorio Previdenza della Fondazione Di Vittorio e della Cgil dimostra che la misura del contratto di espansione, per cui si è avuta anche una modifica nel decreto sostegni da pochi giorni varato (abbassamento della soglia del numero degli addetti a 100 per le imprese che potranno attivare lo strumento), rischia una forte penalizzazione nei casi di scivolo per pensione di vecchiaia.
“Infatti dall’analisi – spiega Ezio Cigna responsabile delle politiche previdenziali della Cgil nazionale – si evince che, per un soggetto che ha un reddito di 35.000 euro con 62 anni di età e 35 di contributi, lo scivolo determinerebbe una perdita di 122.566 euro, lordi, calcolati sull’attesa di vita media. Questo importo – prosegue – tiene conto della differenza tra assegno mensile in contratto di espansione e stipendio (1.786 euro di assegno mensile lordo, contro i 2.692 euro dello stipendio) proiettati nel quinquennio di scivolo (58.890 euro lorde, 35.815 euro nette), della mancata maturazione del Tfr, in questi 5 anni (12.092 euro lorde, 8.949 euro nette), ma, soprattutto, del mancato versamento dei contributi previdenziali nel periodo di accompagnamento alla pensione (nel quinquennio pari a 57.745 euro), che porta inevitabilmente una differenza del trattamento pensionistico pari al 12% in meno per tutta la durata della pensione (1.951 euro lorde in caso di scivolo, 2.199 euro in caso di proseguimento dell’attività lavorativa)”.
“Nel caso di pensionamento anticipato – aggiunge Cigna – per un soggetto che ha sempre 35.000 euro di reddito, ma, 61anni di età e 37anni e 10 mesi di contribuzione, la differenza è minore, 42.619 euro lorde (l’assegno mensile in contratto di espansione 1.786 euro lorde contro lo stipendio di euro 2.692, che sul quinquennio arriva a 58.890 euro lorde, 35.815 euro nette a cui si aggiunge la mancata percezione del Tfr) visto che per questa uscita è previsto il versamento della contribuzione correlata per i periodi di scivolo”.
La Cgil, anche durante il confronto sull’ultima Legge di Bilancio, aveva sostenuto la necessità del potenziamento di strumenti come il contratto di espansione, suggerendo alcune modifiche: l’abbassamento del numero degli addetti per le imprese come prioritario, e quello di garantire almeno per il periodo di teorico diritto alla Naspi, la copertura contributiva, nel caso di pensionamento di vecchiaia.
Concludendo, aggiunge Cigna, “anche in considerazione della crisi pandemica che mette a rischio migliaia di imprese e milioni di posti di lavoro, questo strumento rischia di non essere assolutamente sufficiente (10.500 saranno le persone che nel 2021 potranno accedervi, di fatto solo il 2% delle uscite per pensione di ogni anno). Sono necessari sempre di più – sottolinea il sindacalista -, strumenti efficaci per favorire il passaggio dal lavoro alla pensione che potranno risultare utili in questa fase di sblocco dei licenziamenti – che continuiamo a ritenere una scelta sbagliata – e favorire il turn over generazionale. Purtroppo il Ministro – avverte Cigna – non ha ancora convocato le parti sociali per un confronto e anche misure di questo tipo, che comunque rimangono parziali per le platee coinvolte, rischiano di essere penalizzanti per alcuni lavoratori, in particolare donne, che ricorrono maggiormente alla pensione di vecchiaia, non riuscendo a perfezionare prima il requisito della pensione anticipata”.
→ la ricerca dell’Osservatorio Previdenza ‘Analisi dei costi. Il contratto di espansione’