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Roma, 16 novembre - “Il Digital Economy and Society Index fotografa lo stato dell’arte a valle dell’annus horribilis che ci ha travolti nel 2020. Al netto di quello che in termini generali appare un risultato positivo, poiché nella classifica europea siamo passati dalla 25ma alla 20ma posizione, dobbiamo evidenziare che non tutto è come appare. A cominciare dagli indicatori che sono stati utilizzati”. È quanto dichiarano in una nota congiunta Barbara Apuzzo, responsabile Politiche e sistemi integrati di telecomunicazioni della CGIL nazionale, e il segretario nazionale della SLC Riccardo Saccone a commento del rapporto Desi 2021 pubblicato nei giorni scorsi.
“Se la metodologia fosse rimasta quella del 2020 – spiegano infatti i dirigenti sindacali – è probabile che questo salto in avanti di ben cinque posizioni non verrebbe neanche rappresentato”. “Dal rapporto risulta evidente che nemmeno la pandemia ha dato una spinta decisa per colmare il gap che ci separa dal resto d’Europa in relazione al 'capitale umano', certificando che solo il 42% delle persone tra i 16 e i 74 anni ha competenze digitali almeno di base contro un 56% nella Ue. Il che – sottolineano – preoccupa non poco se pensiamo alle grandi rivoluzioni digitali che con le missioni del PNRR si vogliono portare nel Paese e che rischiano di non avere gambe per partire, né per essere fruite”.
Per quanto riguarda il tema della connettività, proseguono Apuzzo e Saccone, “le posizioni che l’Italia sembra recuperare se parliamo di banda larga, svaniscono focalizzando l’attenzione su quello che è l’obiettivo vero da raggiungere in termini tecnologici, il gigabit. Su quest’ultimo parametro la copertura nel nostro Paese è pari al 34% della popolazione, contro il 54% della media Ue”. Anche sul fronte del 5G i risultati “non sono brillanti”: “nonostante l’Italia sia stata un Paese apripista sulla copertura 5G, questa tecnologia raggiunge solo l'8% delle zone abitate contro la media Ue del 14%”.
Tutto questo per Cgil e Slc pone due temi. “Il primo riguarda le scelte che si compiranno per la costruzione della rete in fibra con i fondi del PNRR. Allo stato attuale sembra infatti prevalere una visione mercatista, che rimanda alla competizione tra privati il delicato tema di connettere l’Italia, quando invece sarebbe necessario che gli investimenti fossero guidati da una visione strategica, valorizzando il ruolo del nostro 'incumbent' nazionale. Esattamente sul modello di Germania e Francia, dove il Governo è azionista di peso di Deutsche Telekom e Orange, orientando le scelte su un asset così strategico”.
Il secondo “riguarda le politiche incentivanti per far crescere la domanda di connettività a prestazioni elevate, su cui si susseguono gli annunci senza che si concretizzi nulla. Il riferimento è ai voucher, strumento abbondantemente noto in Europa (la Francia lo eroga dal 2004), per il quale andrebbe fatto qualche ragionamento che indirizzi i contesti da privilegiare e 'rafforzare' prioritariamente”.
Infine Apuzzo e Saccone evidenziano che “fortunatamente il Desi 2021 apre qualche spiraglio positivo in relazione all'aumento dei servizi cloud (il 38% delle imprese rispetto al 15% del 2018)”, e che “positivo è anche il risultato raggiunto dalle piccole e medie imprese italiane, il 69% delle quali ha almeno un livello base di intensità digitale con percentuale ben al di sopra della media Ue (60%)”.
“Le scelte che faremo – concludono – non saranno neutrali e determineranno il successo o meno di quella che può essere definita la più grande rivoluzione digitale di sempre”.
Quello che è certo è che ci troviamo di fronte ad un’occasione unica per cambiare il volto del nostro paese, e che i numeri realmente importanti sono quelli che segnano ancora il gap tra noi e il resto d’Europa. E’ questo che deve spingerci a correre, sapendo che le scelte che faremo non saranno neutrali e determineranno il successo o meno di quella che può essere definita la più grande rivoluzione digitale di sempre.