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Come annunciato, la Banca centrale europea ha varato il suo primo rialzo dei tassi da 11 anni a questa parte. Le decisioni di politica monetaria intraprese all’unanimità nella mattinata del 21 luglio 2022 dal Consiglio direttivo riguardano l’incremento dei tassi di interesse e il lancio di un nuovo programma di acquisto di obbligazioni, denominato TPI (Transmission Protection Instrument, ovvero strumento di protezione della trasmissione), volto a contenere l’aumento dei costi di prestito e a limitare la frammentazione finanziaria dei mercati – ovvero la divaricazione dei tassi di interesse dei titoli di debito sovrano e, di conseguenza, dello spread – su cui si era già deciso di accelerare, viste le turbolenze e le speculazioni innescate dalle aspettative sulle (non) decisioni di giugno e dallo stesso effetto-annuncio.
Il rischio di questa strategia monetaria è che il contenimento dell’inflazione e dello spread si rifletta sui prestiti alle famiglie o alle imprese più di quanto sarebbe accaduto con una politica espansiva. L’incertezza all’orizzonte dettata dalle varianti del coronavirus, dalla guerra fra Russia e Ucraina, dai cambiamenti climatici e dalle altre tendenze in atto richiede di proseguire e irrobustire il nuovo corso europeo tracciato dal Green deal, dalla legislazione sociale europea e dal Next generation EU.
In questa direzione, anche per garantire l’efficacia delle politiche monetarie, occorre riformare il sistema finanziario e la governance economica europea. Va superato il Patto di stabilità e crescita, per promuovere politiche fiscali espansive e definire nuovi meccanismi e strumenti finanziari sovranazionali (a partire dagli eurobond).
Occorre, allora, scommettere su una maggiore inflazione da domanda, attraverso il ruolo economico degli stati europei, che devono promuovere la buona occupazione, sostenere i redditi e la spesa pubblica per investimenti e welfare. Solo in questo modo si eviterà la recessione e la nuova strategia BCE potrà funzionare.
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