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Maurizio Landini, come segretario generale della Cgil lei è contro il green pass in azienda come si dice? «Non abbiamo contrarietà di principio. Noi abbiamo scioperato per avere i protocolli di sicurezza in azienda. Siamo a favore del fatto che le persone si vaccinino e come sindacato stiamo raccomandando ai lavoratori di farlo. Siamo per garantire i migliori standard di sicurezza nelle imprese. Ma c’è un discrimine: non è possibile pensare a licenziamenti o demansionamenti, perché eventualmente un dipendente sceglie di non vaccinarsi».
Ma se manca il disincentivo per il lavoratore che rifiuta il vaccino, come può funzionare un «green pass» in azienda?
«Qui si sta parlando di rendere obbligatorio un trattamento sanitario: è qualcosa che si può decidere solo per legge. Se il governo valuta che sia necessario, può varare una norma. È già successo nel settore sanitario dove per alcuni dipendenti – non per tutti – è stato stabilito l’obbligo di vaccinazione».
Scusi l’insistenza: Confindustria ha parlato di sospensione dallo stipendio per chi rifiuta.
«Inaccettabile per noi, naturalmente. Non se ne parla neanche. Né di questo, né di demansionamenti. Ci sono già esperienze in diverse aziende che utilizzano lo smart working per certi dipendenti o fanno un uso molto diffuso dei tamponi. In ogni caso un provvedimento obbligatorio ha bisogno di una legge. La responsabilità è del governo e non può scaricata su accordo fra le parti sociali. Se il governo matura questo orientamento e saremo consultati, siamo pronti ad esprimere il nostro punto di vista e a dare il nostro contributo».
Se lei ipotizza un sistema di tamponi nelle aziende, spetterebbe al governo fornire gli strumenti e il personale?
«Alcune aziende sono già centri vaccinali. Ma è importante ricordarsi che il ‘green pass’ di per sé non risolve tutti i problemi. Non può diventare il pretesto per smantellare le norme di sicurezza, dal distanziamento alla sanificazione. Ormai sappiamo che anche una persona vaccinata potenzialmente può contagiare e può ammalarsi, anche se con le dosi queste eventualità sono molto meno probabili. Del resto proprio le tutele che abbiamo concordato hanno impedito fin qui che le imprese diventassero dei focolai. Vanno mantenute».
Il 6 agosto scatta il green pass” nei ristoranti. Carlo Bonomi di Confindustria dice che lo stesso dovrebbe valere per le mense aziendali…
«Sono contro le forzature. Siamo di fronte a una situazione di una complessità mai vista e le complessità non si semplificano: si affrontano. Lo può fare solo con la pazienza di ricercare il consenso. Non è semplice, io la soluzione in tasca non ce l’ho. Ma chi ha paura, va aiutato a superarla. Se una persona che esita viene trattata in modo sprezzante, la si consegna alla logica dei no vax. E non dimentichiamo: anche da vaccinati, nel nostro Paese si continua a morire sul lavoro. E questo rimane il problema da risolvere, per tutti».
Bonomi dice anche che il piano Ue per abbattere del 55% le emissioni rischia di costare caro all’industria italiana. Almeno su questo concorda?
«Proprio perché siamo di fronte a una transizione ambientale, digitale e anche demografica, trovo che sia il momento che il nostro Paese sia tra i protagonisti di questo cambiamento. È momento di fare sistema, dalla pianificazione fino a una vera politica industriale. Lasciare al mercato il compito di risolvere tutti i problemi significa andare a sbattere».
Lei propone un’altra stagione di interventismo?
«Dico che servono politiche industriali, di filiera e di settore: nella chimica, nell’energia, nell’auto, nei metalli, nell’acciaio, nei materiali da costruzioni. E serve un collegamento fra il piano per il Recovery e le politiche industriali, che oggi non c’è. Non dobbiamo pensare solo a cosa succede domattina, ma ai prossimi cinque o dieci anni. Con l’obiettivo comune di creare nuova occupazione».
I primi licenziamenti si vedono nell’automotive, perché arriva l’elettrico e noi su questo siamo indietro.
«Quei licenziamenti vanno ritirati e le conseguenti delocalizzazioni vanno bloccate. Il governo e le associazioni imprenditoriali devono fare la loro parte. Guardiamo i fatti: in Italia abbiamo la capacità di produrre 1,5 milioni di auto all’anno, ne facciamo la metà e siamo il Paese con i mezzi più vecchi e inquinanti. Perché non si lavora affinché il nuovo piano industriale di Stellantis prevede la produzione in Italia si un’auto ibrida di fascia B, un’utilitaria verde a prezzi accessibili? Chiamiamola ‘Stellina’, se volete. E perché non si producono in Italia i seimila autobus elettrici previsti dal Recovery? Per questo c’è bisogno che governo, imprese e organizzazioni sindacali definiscano nuove politiche industriali e di occupazione. Basta con i finanziamenti a pioggia».
A proposito di Recovery: non è un paradosso pagare imprese cinesi con i fondi europei per avere pale eoliche e pannelli fotovoltaici?
«Totalmente. Quei beni possiamo produrceli qui».
A Montepaschi ci sono tagli di posti in vista. Inevitabile?
«Noi siamo contrari a qualsiasi idea di spezzatino di Mps. E pensiamo che, dopo l’intervento pubblico che c’è stato, non è pensabile usare risorse del contribuente per fare licenziamenti e chiusure».
→ Intervista al segretario generale della Cgil Maurizio Landini su il ‘Corriere della sera’ – “Non sono contro il green pass in azienda, ma niente penalità e deve decidere il governo”, clicca qui