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Per tutta la durata dell’età liberale e fino al fascismo, la direzione confederale fu saldamente nelle mani dei riformisti. Lo scontro con la minoranza si mantenne acceso fino a giungere alla spaccatura del 1912, quando i sindacalisti rivoluzionari decisero la costituzione al Congresso di Modena dell’Unione Sindacale Italiana (USI).
Il programma confederale, confermato nei successivi Congressi nazionali di Modena, Padova e Mantova (tenuti rispettivamente nel 1908, 1911 e 1914), puntava al miglioramento graduale delle condizioni di vita delle classi lavoratrici italiane; in questa direzione andava anche l’accordo siglato all’inizio del 1907 tra CGdL, Federazione delle Società di Mutuo Soccorso e Lega Nazionale delle Cooperative (la cosiddetta “Triplice Economica”).
Gli strumenti principali individuati per la realizzazione del programma confederale furono due: lo sviluppo della legislazione sociale e la diffusione della contrattazione collettiva. Su quest’ultimo versante, la firma dei primi contratti (tra i più importanti l’accordo Itala-FIOM, firmato a Torino nel 1906) evidenziò il tentativo da parte sindacale di ottenere un riconoscimento “istituzionale” da parte di Governo e imprese (nel 1910 nasceva a Torino la Confederazione Italiana dell’Industria). I risultati furono significativi: la riduzione dell’orario di lavoro, la fissazione dei minimi salariali, il riconoscimento delle Commissioni interne nei luoghi di lavoro, il controllo del collocamento.
Tuttavia, la dura intransigenza padronale e le ricorrenti crisi economiche impedirono l’estensione e il rinnovo dei contratti. Quanto ai rapporti con il Partito Socialista Italiano (costituito a Genova nel 1892), dopo la nascita della CGdL non mancarono momenti di attrito e difficoltà. L’accordo di Firenze del 1907 sancì la “naturale” divisione dei compiti tra sindacato (economia) e partito (politica); ma sia la discussione sulla costituzione da parte sindacale di un eventuale Partito del lavoro, sia la vittoria dei massimalisti nel partito al Congresso di Reggio Emilia del 1912, segnalarono una crescente divaricazione tra PSI e CGdL.
Le tensioni aumentarono durante i fatti della “settimana rossa” del giugno 1914, quando un movimento insurrezionale e antimilitarista, partito da Ancona, si propagò in molte zone d’Italia. In appoggio ai manifestanti, la CGdL decise di proclamare lo sciopero generale; ma di fronte all’aggravarsi degli scontri con esercito e forze dell’ordine, la Confederazione decise di ritirare il suo sostegno alla mobilitazione in atto.