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Al “biennio rosso” (1919-20) seguì il “biennio nero” (1921-22), segnato dall’attacco violento che i fascisti scatenarono contro il movimento operaio e le fragili istituzioni dello Stato liberale. Dopo l’assalto alla sede del Comune di Bologna nel novembre 1920, si moltiplicarono i casi di incendio e saccheggio operati dalle “squadracce nere” contro le Camere del lavoro, le Case del popolo, le cooperative, le leghe; molti dirigenti della sinistra rimasero vittime della violenza fascista. In molte occasioni, i mandanti delle spedizioni punitive furono quegli agrari colpiti dagli scioperi del biennio rosso; e in tanti casi, furono gli stessi rappresentanti dello Stato – magistrati e forze dell’ordine – a “coprire” quei crimini.
Il 28 ottobre 1922, con la marcia su Roma, Mussolini prendeva il potere. Dietro le manovre di normalizzazione politica operate dal regime (tra le quali anche il tentativo, poi fallito, di coinvolgere esponenti di spicco della CGdL nel governo del paese), l’azione repressiva proseguì, per culminare nell’uccisione del deputato socialista Giacomo Matteotti nel giugno 1924, il quale aveva denunciato le violenze commesse dai fascisti durante le elezioni politiche di aprile.
La crisi vissuta dal regime nei mesi successivi venne superata da Mussolini all’inizio del 1925 – pochi giorni dopo il VI Congresso della CGdL, tenuto a Milano nel dicembre 1924 –, quando il duce decise una svolta in senso “totalitario” attraverso una serie di provvedimenti liberticidi (le “leggi fascistissime”), che annullarono qualsiasi forma di opposizione al fascismo. Sul piano sindacale, con gli accordi di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925, Confindustria e sindacato fascista si riconoscevano reciprocamente quali unici rappresentanti di capitale e lavoro e abolivano le Commissioni Interne. La sanzione ufficiale di tale svolta arrivò con la legge n. 563 del 3 aprile 1926, che riconosceva giuridicamente il solo sindacato fascista (l’unico a poter firmare i contratti collettivi nazionali di lavoro), istituiva una speciale Magistratura per la risoluzione delle controversie di lavoro e cancellava il diritto di sciopero.
Lo “sbloccamento” (cioè la frammentazione) della Confederazione fascista dei sindacati nel 1928 e il mancato riconoscimento giuridico dei fiduciari di fabbrica nei luoghi di lavoro evidenziarono le debolezze del sindacato di regime. Negli anni ‘30, gli effetti della crisi economica del 1929 (licenziamenti indiscriminati, aumento della disoccupazione, diminuzione dei salari) avrebbero notevolmente peggiorato le condizioni di vita delle classi lavoratrici.