Carlo Levi (Torino, 1902 – Roma, 1975)
Giovanissimo, si diletta di disegno, una passione che mantiene viva anche quando segue i corsi della facoltà di Medicina nella città natale. Nel 1922 collabora con la rivista «Rivoluzione liberale» di Gobetti e due anni dopo si laurea e diventa assistente universitario. Risale al 1924 anche la sua prima partecipazione alla Biennale di Venezia (vi parteciperà frequentemente fino al 1956). Con la mediazione dello stesso Gobetti entra in contatto con Felice Casorati dal quale assimila volumetrie e tagli di luce netta. Dal 1926 si interessa alla Nuova Oggettività tedesca. In questi anni frequenta Pavese, Gramsci ed Einaudi. La svolta decisiva arriva nel 1927, quando Levi decide di abbandonare la medicina per dedicarsi unicamente alla pittura. Tra il 1925 e il 1928 soggiorna spesso a Parigi. Nelle opere di questo periodo iniziano a farsi largo suggestioni che rimandano ai fauves (1927) e a Modigliani. Successivamente si unisce al Gruppo «dei Sei» di Torino (1929), esponendo soprattutto paesaggi, ritratti e nudi. Nel 1930 è con Menzio e Paulucci alla Galleria Bloomsbury di Londra e poi, da solo, alla Bardi di Roma. L’anno seguente partecipa alla prima Quadriennale di Roma (vi esporrà anche nelle edizioni del 1935, ’55, 59, ’64). Negli anni Trenta la pennellata diventa fluida, vitale, materica. Contemporaneamente Levi svolge la funzione di tramite per i fuoriusciti e, dal 1931, aderisce a «Giustizia e Libertà» dei fratelli Rosselli. Arrestato per attività antifascista (1934), viene confinato in Lucania fino al 1936. Negli olii di questo periodo l’accento è posto sul ritmo ondulatorio della pennellata larga e corposa che sostiene la deformazione espressionista evidenziando la carica emotiva dei soggetti, la gente di Lucania. Lo stesso realismo emerge anche dalla sua maggiore opera letteraria, Cristo si è fermato ad Eboli (1945). Dal 1941, rientrato dalla Francia, aderisce al Partito d’Azione e alla Resistenza. Nel 1946, con Guttuso, Pizzinato, Viani e Birolli, firma nello studio di Giuseppe Marchiori il Manifesto della secessione artistica italiana, ponendo le premesse storiche del neorealismo. Negli anni Sessanta e Settanta, la sua pittura si carica di quei nuovi valori espressivi riscontrabili, tra l’altro, in una serie di intensi ritratti di personalità del mondo della cultura. Nel 1963 è eletto senatore.
(Andrea Romoli)
Giuseppe Di Vittorio, 1952, olio su tela, 60,5×50,5 cm
(Foto: Giuseppe Schiavinotto)
Giuseppe Di Vittorio, 1952, olio su tela, 60,8×50 cm
(Foto: Alessandra Pedonesi e Aldo Cimaglia)
Senza titolo, 1971, tecnica mista e collage su carta intelata, 100,5×75 cm
Senza titolo, 1974, olio su tela, 92×73 cm
Ritratto di Fermando Santi, 1947, Olio su tela, 46 x 38 cm