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Oltre alle disuguaglianze e ai divari territoriali, che incidono profondamente sull’entrata nella condizione di NEET di giovani del nostro Paese, un ruolo importante nelle difficoltà occupazione delle nuove generazioni è certamente giocato dalla precarietà della condizione occupazionale giovanile in Italia e dai bassi salari.
Nel 2023, nel nostro Paese, il tasso di occupazione di giovani tra i 15 e i 34 anni è migliorato raggiungendo il 43,7%, un valore che non si registrava dall’inizio del 2011. La crescita occupazionale degli ultimi due anni non ha però invertito la tendenza di lungo periodo: negli ultimi 18 anni – dal 2004 al 2022 - l’occupazione di giovani tra i 15 e i 34 anni è infatti diminuita di 8,6 punti percentuali (dal 52,3 al 43,7%), mentre per la fascia 50-64 anni è aumentata di 19,2 punti (dal 42,3 al 61,5%). Una delle cause di tale tendenza è la condizione occupazionale delle e dei giovani che, ad oggi, è caratterizzata da un’alta vulnerabilità: difficoltà di inserimento e di permanenza nel mercato del lavoro, forme contrattuali che non garantiscono rapporti di lavoro di lungo periodo e avanzamenti di carriera più lenti e meno appaganti di quelli delle generazioni precedenti. I dati evidenziano che la quota di dipendenti con contratto a termine è infatti molto più alta tra la popolazione giovane (30,2%) rispetto alla restante (13,2%), maggiore è anche la percentuale di giovani che lavorano a tempo parziale per mancanza di occasioni di lavoro a tempo pieno, 13,8% contro valori inferiori al 10% nel caso delle altre fasce di età. Le e i giovani sono, inoltre, penalizzate/i nei rapporti di forza tra le generazioni all’interno della stessa azienda sia in termini salariali che di avanzamento di carriera: le e i neoassunte/i occupano infatti posizioni sempre più marginali rispetto alle generazioni più anziane e con stipendi più bassi, esacerbando lo squilibrio generazionale già esistente.
Se l’accesso e la permanenza nel mondo del lavoro sono difficili, risulta ancora più complesso per le e i giovani raggiungere una vera e propria indipendenza economica. In Italia, la retribuzione media annua lorda per dipendente è di circa 27 mila euro, inferiore del 12% rispetto alla media Ue e del 23% rispetto a quella tedesca.
La situazione occupazionale ed economica peggiora poi nel caso di coloro che si trovano in condizioni di vulnerabilità socioeconomica e che hanno bassi livelli di istruzione. La crescita occupazionale post pandemia, ad esempio, ha favorito in particolar modo le persone con alti livelli di scolarizzazione, penalizzando le donne e le e i giovani con titoli di studio più bassi.
Alla luce di tali evidenze è doveroso chiedersi quanto in Italia la precarietà del mercato del lavoro abbia alimentato la disillusione delle e dei giovani rispetto alla possibilità di partecipare pienamente alla vita economica, sociale, culturale e politica del nostro Paese. E quanto la condizione di giovani NEET trovi le sue cause anche nelle lacune di un sistema che si cura poco delle nuove generazioni.
È quindi necessario ripartire da una valutazione delle politiche occupazionali fino ad oggi implementate, che non hanno ridotto l’evidente svantaggio delle nuove generazioni, ma in alcuni casi lo hanno aggravato. Identificare, inoltre, le cause profonde della disoccupazione giovanile e dell’abbandono scolastico, può contribuire a prevenire e contrastare il fenomeno NEET e quindi anche la povertà giovanile che ne consegue.
Occorre però, non da ultimo, finanziare anche interventi finalizzati a intercettare quelle e quei giovani che vivono situazioni economiche vulnerabili, all’interno del proprio nucleo familiare o nel proprio contesto territoriale, migliorando l’efficacia dei servizi pubblici e la loro capacità di collaborare, in modo integrato e strutturale.