Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4699 del 14 ottobre 2015 (all. 1), pone un argine allo shopping contrattuale nelle gare di appalto, censurando l’affidamento ad aziende che non applicano il CCNL firmato dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative. Si notano, in proposito, i primi benefici effetti della recente sentenza della Corte costituzionale n. 51 del 2015.
Sul versante europeo, la Corte di giustizia dell’Unione Europea (sentenza RegioPost, causa C-115/14, all. 2) ha valutato compatibile con il diritto dell’UE una legge di un Land tedesco che fissa direttamente la retribuzione minima da applicare ai lavoratori impiegati in qualsiasi appalto pubblico bandito dalle amministrazioni locali (8,50 euro orari lordi, cioè la stessa cifra che dal 1° gennaio 2015 è prevista a livello federale). In sostanza la Corte di giustizia attribuisce ai trattamenti retributivi legali una particolare “forza” di resistenza nei confronti dell'espansività della libertà di prestazione dei servizi garantita dal diritto dell’UE.L’accento posto dai giudici europei sulla “legge” come fonte privilegiata di definizione dei minimi salariali potrebbe rafforzare la posizione di quanti sostengono la necessità di dare attuazione all’unica parte del Jobs Act rimasta inattuata (salario minimo legale) a scapito di una proposta più coerente con la tradizione contrattuale italiana che dia “forza di legge” ai CCNL con l'attuazione dell'art. 39 della Costituzione.Sulle due sentenze vi mandiamo una prima nota di commento del prof. Giovanni Orlandini dell’Università di Siena.In allegato pubblichiamo le due sentenze (all. 1 e all. 2) e il commento di Orlandini per la Cgil.