Roma, 30 novembre - Nonostante gli impegni assunti dalla Presidente del Consiglio sul coinvolgimento delle Organizzazioni sindacali e sull'apertura di un confronto di merito e preventivo, con il Ddl Bilancio il Governo interviene in maniera unilaterale anche sul terreno pensionistico. Ma non c'è solo un problema di metodo, ci sono - non meno gravi - le questioni di merito. Le misure previdenziali approvate dal Consiglio dei ministri sono molto limitate, largamente insufficienti e, in alcuni casi, addirittura peggiorative rispetto al quadro normativo vigente. Per rendersene conto basta guardare i numeri nudi e crudi, non dimenticando mai che dietro le cifre ci sono le persone.

Il saldo delle risorse previsto dal governo sul “capitolo pensioni” non mente: nel 2023 a fronte di 726,4 milioni di euro che finanziano i diversi interventi (Quota 103, Opzione donna, Ape sociale e altro), si sottraggono al sistema ben 3,7 miliardi di euro tra taglio della rivalutazione delle pensioni in essere (-3,5 miliardi solo nel 2023) e abrogazione del fondo per l’uscita anticipata nelle PMI in crisi (-200 milioni). Se si considera il triennio, le mancate rivalutazioni ammonteranno a 17 miliardi. In realtà, le risorse che saranno effettivamente spese - sulla base della nostra analisi - saranno poco più di un terzo: 274,3 milioni, con un risparmio di 452,1 milioni.
Se infatti guardiamo le platee interessate dalle misure previste, si comprendono le ragioni di questo risparmio e si chiarisce ancor di più la sostanza reale delle scelte previdenziali del Governo.
Secondo le stime dell’Osservatorio Previdenza di Cgil e Fondazione Di Vittorio - tra “Quota 103” (che consentirà l'uscita a 11.340 persone, di cui 9.355 lavoratori e appena 1.985 lavoratrici, in luogo delle 41.100 annunciate), “Opzione donna” (solo 870 rispetto alle 2.900 previste, che sarebbero già pochissime), conferma dell’Ape sociale (13.405 rispetto alla previsione di 20.000) - nel 2023, la platea reale delle persone che usufruiranno di questi tre istituti sarà di 25.615. Per tutti gli altri c’è la legge Fornero.

Per il segretario confederale della Cgil, Christian Ferrari: “Così non vengono affrontate in alcun modo le criticità presenti nel nostro sistema pensionistico, e men che meno si prefigurano le condizioni per una riforma complessiva del nostro impianto previdenziale. Nessun superamento della legge Fornero, dunque, e nemmeno la possibilità di accedere al pensionamento con 41 anni di contribuzione. Gli slogan e le promesse elettorali, ancora una volta, si configurano come vera e propria pubblicità ingannevole. In sostanza, non solo non c’è alcun miglioramento né allargamento delle tutele e dei diritti previdenziali, ma c’è un intervento regressivo rispetto alla situazione attuale, con una stretta – anche finanziaria – che indica una direzione molto chiara, in perfetta continuità con il recente passato. Prima quota 100, poi quota 102, adesso quota 103: si procede spediti verso un ritorno alla legge Fornero ‘in purezza’”.

“Non si rispetta - prosegue il segretario confederale Cgil - nemmeno la ‘regola’ annunciata dal ministro Giorgetti, per cui gli interventi nei diversi settori si dovrebbero finanziare all’interno di quegli stessi settori. Anzi, sulla previdenza succede esattamente l’opposto: si fa cassa sulle spalle di lavoratori e pensionati per tagliare le tasse a professionisti da 85.000 euro annui. Intanto, nessuna risposta ai giovani, a chi svolge lavori gravosi e, soprattutto, alle donne, che hanno pagato il prezzo più salato delle “riforme” degli ultimi 15 anni. Per quanto riguarda i giovani, del resto, è emblematica la reintroduzione dei voucher, che prevedono versamenti contributivi irrisori. Invece di contrastare la precarietà, che sta condannando le nuove generazioni a un presente ben poco dignitoso e a un futuro da pensionati poveri, la si implementa e la si peggiora, compromettendo l'equilibrio anche finanziario del sistema pensionistico nel suo complesso”.

“Paradigmatica, inoltre, la modifica di “Opzione donna” che - aggiunge Ferrari - nonostante preveda il ricalcolo totalmente contributivo dell’assegno (e costituisca, quindi, solo un anticipo di cassa senza alcun costo aggiuntivo per il bilancio previdenziale) - è oggetto di un intervento così radicale da determinare, attraverso lo svuotamento della platea, un’abrogazione di fatto dell’istituto. Oltretutto - anche rispetto al tavolo, per ora solo annunciato, che in base alle intenzioni del Governo dovrebbe mettere mano ad una riforma previdenziale nel corso del 2024 - da queste prime misure si prefigurano un’impostazione e dei margini finanziari che smentiscono l'obiettivo di una vera riforma strutturale che assicuri sostenibilità sociale e dia risposte alle persone”.

“Per parte nostra - conclude Ferrari - il giudizio sulla strada intrapresa dall'Esecutivo in materia previdenziale è nettamente negativo. Ribadiamo la necessità di una vera riforma del nostro impianto pensionistico, così come indicato nella piattaforma sindacale unitaria, attraverso l’uscita flessibile a partire dai 62 anni, il riconoscimento della diversa gravosità dei lavori, la pensione di garanzia per i giovani e per chi ha carriere discontinue e povere, il riconoscimento del lavoro di cura e della differenza di genere, l’uscita con 41 anni di contributi senza limiti di età”.
 
→ lo studio dell’Osservatorio Previdenza Cgil e Fondazione Di Vittorio