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Roma, 7 marzo - "La decisione del Tribunale di Padova sembra mettere, finalmente, un punto fermo rispetto a impostazioni che appaiono persecutorie rispetto ai diritti delle bambine e dei bambini. Il tentativo ignobile di sottrarre loro una delle due figure genitoriali in ossequio a una delirante circolare del Ministero dell’Interno si è scontrato con il rigore di una Corte che ha invece riconosciuto il diritto preminente di quei minori alla vita familiare, e quindi al mantenimento dello status quo, in conformità con le sentenze della Corte costituzionale e delle Corti europee che da sempre hanno basato le loro decisioni su quel principio”. Così le segretarie confederali della Cgil Daniela Barbaresi e Lara Ghiglione commentano il rigetto da parte del tribunale veneto del ricorso della Procura che mirava ad annullare gli atti di nascita di trentacinque bambine e bambini con l’indicazione di due mamme, quella biologica e quella intenzionale.
Per le dirigenti sindacali “appare del tutto fuori dalla realtà la dichiarazione a caldo della Ministra per la famiglia e le pari opportunità, che continua a negare ostinatamente che ci sia un problema di discriminazione dei minori. Basti pensare – spiegano – che in caso di decesso del genitore biologico senza che ancora vi sia il riconoscimento di quello intenzionale quei minori sarebbero dichiarati adottabili. O che, anche senza arrivare a ipotizzare situazioni estreme, sarebbero in balia della sorte qualora abbiano per esempio bisogno di terapie salvavita in assenza temporanea del genitore biologico e senza che quello intenzionale possa autorizzare alcunché perché non riconosciuto dall’Ordinamento”.
“Così come risulta incomprensibile da parte della stessa Ministra – proseguono Barbaresi e Ghiglione – il richiamo alla stepchild adoption, peraltro in contraddizione con quanto sentenziato dalla Corte costituzionale che ritiene non possa essere quella la via da seguire, come soluzione salvifica e alla portata di chiunque. Tanto più considerato che questo ragionamento proviene dalla stessa parte politica che minacciò le barricate se una più agevole procedura di adozione in casi particolari non fosse stata stralciata dalla legge sulle unioni civili”. Per le segretarie confederali della Cgil resta il quesito principale: “perché costringere una madre o un padre a adottare il proprio figlio? Se quel che conta è il progetto genitoriale e non la mera biologia, quella bambina e quel bambino sono figlie e figli di entrambi i genitori fin dalla nascita, esattamente come accade, per previsione di legge, in caso di fecondazione eterologa in una coppia eterosessuale”.
“È un inutile esercizio, dunque, cercare di negare la natura discriminatoria di quei provvedimenti perché è di solare evidenza che quell’impostazione è proprio figlia di un pregiudizio nei confronti dell’orientamento sessuale dei genitori”, sostengono Barbaresi e Ghiglione. “Ed è offensivo e ingeneroso – concludono – paragonare questa situazione, come fa la Ministra, al riconoscimento da parte del nuovo partner della madre vedova, perché in quel caso, con tutta evidenza, il progetto genitoriale non sussisteva fin dal principio, come invece accade nei casi sui quali si è pronunciata la Corte padovana”.