Roma, 30 maggio - “Questa non è una privatizzazione, questa è una svendita. Un’operazione che non provoca alcun vantaggio per i cittadini, per i lavoratori e per i conti dello Stato. Il Governo si rivolge ai soli azionisti, che, se non fossero ben remunerati, potrebbero fare altre scelte e cambiare la destinazione dei propri investimenti”. Così il segretario confederale della Cgil Pino Gesmundo e il segretario nazionale Filctem Cgil Antonio Pepe, nell’ambito della campagna ‘‘Privatizzazioni, un saldo nel vuoto”, commentano la cessione realizzata dal Governo del 2,8% di quote azionarie detenute dal Ministero dell’Economia, per un valore complessivo di 1,4 miliardi di euro.

Gesmundo spiega che “l’operazione non è conveniente dal punto di vista economico. La svendita produrrà un effetto negativo per i conti dello Stato, che vedrà ridursi le entrate in maniera maggiore della riduzione della spesa per gli interessi sul debito”. “Noi - sottolinea - venderemo il 4,7% di azioni di Eni, vendita che produrrà un incasso di circa 2 miliardi di euro che per legge dovranno essere utilizzati per la riduzione del debito pubblico, ma che comporterà un mancato incasso di 147 milioni di euro, denaro entrato nelle casse dello Stato nel 2023 per i dividendi di Eni. Peraltro – aggiunge – questo effetto negativo per le finanze dello Stato accomuna tutte le privatizzazioni che il Governo ha ipotizzato, a partire da quella di Poste”.

Inoltre, sostiene il segretario confederale, “questo progetto indebolirà ancora di più il ruolo di Eni sul processo di transizione ambientale, proprio nel momento in cui l’Italia dovrebbe concentrare tutti i propri sforzi per recuperare i ritardi accumulati e che rischiano di produrre pesanti danni per l’economia del Paese”.

“Ci auguriamo che la svendita si fermi qui”, dichiara il segretario nazionale Filctem Cgil Pepe. “Così si impoverisce un’importante azienda italiana che, nonostante la sua vocazione industriale, richiederebbe ora un’ambientalizzazione dei processi produttivi con le tecnologie oggi disponibili per investimenti finalizzati anche agli obiettivi indicati dall’Europa”. Vi è un ulteriore risvolto di questa operazione: “Eni è debole finanziariamente sulla chimica di base, che è un pilastro fondamentale per il sostegno del sistema manifatturiero e industriale. Qualora non ci fossero più gli adeguati interventi l’Italia rischierebbe di non essere più la seconda manifattura europea, mentre la filiera a valle scivolerebbe verso quei Paesi extra-Ue con i quali non possiamo competere sia per rispetto dell’ambiente sia per costo del lavoro”.

Infine, Cgil e Filctem sostengono che “vi sono rischi per i lavoratori, che non avranno più quella sicurezza del posto di lavoro che Eni ha fin qui garantito, e per i cittadini, perché è presumibile ipotizzare l’aumento dei costi energetici, in quanto la presenza di Eni funge anche da calmiere dei prezzi”.

COMUNICATO STAMPA CONGIUNTO CGIL NAZIONALE – FILCTEM CGIL