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Importanti come sempre i numeri presentati nel XXII Rapporto annuale Inps, che ci rappresentano in modo chiaro la situazione nel nostro Paese.
Il rapporto offre un’approfondita analisi del mercato del lavoro. Lo ‘scampato pericolo’ caratterizzato dal recupero post pandemia, con una diminuzione del tasso di disoccupazione e un aumento del tasso di occupazione, non risolve, ma semmai conferma, la persistenza di problemi strutturali: la questione demografica, dove il calo della popolazione attiva di riferimento rende positivi gli indici occupazionali, la divaricazione sempre più marcata tra lavoratori dipendenti e indipendenti, la condizione del Sud e le distanze ancora troppo distanti nel confronto con i dati europei. I numeri confermano una accentuata e costante penalizzazione dei giovani, la cui occupazione si stabilizza solo verso i trent’anni raggiungendo i picchi poco prima dei 50 anni; raccontano la condizione delle donne che provano a rientrare nel mercato del lavoro solo dopo i 35 anni, condizione di svantaggio rispetto agli uomini legata ancora alla difficoltà di un equilibrio tra carichi di famiglia e di lavoro e che si dividono con i lavoratori stranieri la maggiore discontinuità lavorativa. Il rapporto evidenzia transizioni lavorative alla costante ricerca di maggiore stabilità e tutele, con la diminuzione del lavoro indipendente verso il lavoro dipendente dove in particolare il lavoro domestico e parasubordinato provano a cercare altre opportunità. Il grande aumento delle dimissioni volontarie rappresenta “non un ritiro dal mercato del lavoro bensì un’aumentata mobilità, alla ricerca di migliori condizioni”. Un fenomeno in crescita che per il Sindacato evidenzia le differenze tra settori produttivi e la necessità soprattutto di investire sulla qualità del lavoro che si traduce in migliori condizioni salariali, ma anche in tempo di lavoro, orari, conciliazione, opportunità. Il rapporto stesso indica inoltre come “la precarietà e flessibilità abbiano cercato e trovato nuovi spazi” in specifici settori e attraverso il ricorso al part-time e a forme flessibili e irregolari di impiego. Un dato complessivo che conferma la condizione di precarietà sia dei lavoratori discontinui che dei lavoratori con contratti di lavoro stabili. Di fronte alla priorità di contrastare tutte le forme della precarietà del lavoro, riteniamo quanto meno fuori luogo auspicare “una possibile nuova stagione” del lavoro occasionale e accessorio, come dichiarato nel Rapporto. I dati evidenziano, tutte le disuguaglianze e le polarizzazioni del mercato del lavoro italiano, territoriali, di genere, tra settori merceologici, e definiscono con nettezza il profilo dei lavoratori poveri: quelli con contratti part-time involontari e discontinui, finte partite IVA, dipendenti di fatto travestiti da stagisti e praticanti, lavoro autonomo occasionale e parasubordinato e tutte le forme di lavoro nero e grigio, una condizione di precarietà e povertà del lavoro che coinvolge anche una importante percentuale di lavoratori con un contratto a tempo indeterminato. Le forti criticità nel Mezzogiorno meritano un’attenzione urgente che chiediamo a questo Governo, anche rispetto alle scelte sbagliate sul Pnrr, che invece di riorientarne gli investimenti verso un deciso cambiamento del modello di specializzazione produttiva capace, finalmente, di far crescere innovazione, produttività, occupazione e salari, hanno tagliato progetti (da quelli sociali a quelli ambientali) senza alcuna certezza del loro rifinanziamento. Si registra un aumento del monte contributivo e retributivo, ma non sufficiente a recuperare la perdita di potere d’acquisto: “i salari medi netti reali, a parità di intensità e durata del lavoro, non hanno comunque tenuto compiutamente il passo dell’inflazione”. Nella difficoltà della fase, il rapporto conferma che l’applicazione dei CCNL firmati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative rappresenta una garanzia di tenuta salariale e di qualità dell’occupazione.
“Dinanzi ad un quadro del mercato del lavoro che conferma seri problemi strutturali - afferma Maria Grazia Gabrielli, segretaria confederale con delega al mercato del lavoro - il Governo, con il decreto lavoro, non fa altro che aumentare la povertà e la precarietà. Per un lavoro stabile e di qualità saremo in piazza il 7 ottobre con oltre 100 associazioni”.
Sul versante della previdenza nel rapporto viene evidenziato come le ricadute inflazionistiche del 2022 si concentrano particolarmente sui pensionati italiani, specialmente quelli più poveri, che perdono tra il 2018 e il 2022 il 10,6% del reddito reale, perdita oltre dieci volte maggiore delle famiglie con solo redditi da lavoro. A essere colpiti sono anche coloro che hanno pensioni più ricche, con una perdita del reddito reale pari al 7,5%. Dati che dovrebbero far capire all’Esecutivo che è sbagliato e grave intervenire nuovamente con un taglio sulla rivalutazione delle pensioni. Come abbiamo ribadito ai tavoli di confronto, serve la piena rivalutazione delle pensioni, e per i redditi più bassi un allargamento e rafforzamento della quattordicesima. Molto interessante l’analisi sull’attesa di vita, dove si indica una forte differenza della stessa a seconda del lavoro che si svolge: gli operai hanno 5 anni di speranza di vita in meno dei dirigenti. Differenza che impatta anche rispetto alle regioni di residenza - tra nord e sud - dove si evidenzia un’attesa di vita inferiore in alcune regioni del sud, fino a 4 anni. Le disuguaglianze di genere presenti nel mercato del lavoro si ripercuotono anche sul sistema previdenziale, infatti le donne seppur rappresentino la quota maggioritaria sul totale dei pensionati (il 52%), percepiscono solo il 44% dei redditi pensionistici. L'importo medio mensile dei redditi pensionistici percepiti dagli uomini e' superiore a quello delle donne di circa il 36%. Le 5.125 domande di pensione ‘quota 103’ accolte, dimostrano che questa misura è inutile e qualsiasi proroga non sarebbe sufficiente in termini di flessibilità in uscita.
“I dati sulla previdenza presenti nel rapporto - dichiara Lara Ghiglione, segretaria confederale Cgil con delega alla previdenza - confermano e rafforzano le nostre proposte sindacali, a partire dalla necessità di introdurre nel sistema maggiore equità e solidarietà, soprattutto all’interno dell’attuale impianto contributivo”. “La previdenza rimane un punto centrale che chiediamo di affrontare a questo Governo e sarà una delle tante ragioni della mobilitazione del prossimo 7 ottobre”, conclude Ghiglione.