Dal 27 al 29 maggio la Cgil organizza a Lecce la terza rassegna «Giornate del lavoro». Ne parliamo con il segretario generale Susanna Camusso.
Perché a Lecce questa edizione? «Dopo le prime edizioni organizzate in centro Italia ci è sembrato giusto scegliere una realtà meridionale, dove i problemi del lavoro sono spesso più acuti. Abbiamo pensato di dedicare questa edizione ai diritti e abbiamo organizzato un percorso tematico che abbraccia Lecce città, cornice ideale per incastonare anche simbolicamente il tema del lavoro e del Mezzogiorno».L’8 aprile avete iniziato a raccogliere le firme per la proposta di legge sui diritti dei lavoratori e su tre quesiti referendari, tra cui vi è quello per l’abolizione del lavoro occasionale rappresentato dai voucher. Con la carta universale dei diritti, praticamente riscrivendo lo Statuto dei lavoratori di Gino Giugni, volete forse correggere l’idea di un sindacato «conservatore»? «Siamo molto poco impegnati a inseguire critiche spesso gratuite e propagandistiche. La nostra intenzione è ridare organicità a una legislazione sul lavoro che, rispetto a 40 anni fa, non include più, fino in fondo, tutto il lavoro. Progressivamente gli interventi legislativi hanno cancellato le persone inventando formule che considerano il lavoro solo come costo e ne diminuiscono i diritti. Noi, al contrario, vogliamo ridare universalità ai diritti, per far sì che pur in nuovo contesto siano comunque esigibili da tutti i lavoratori, a prescindere dalla forma contrattuale che hanno. Per noi sono importanti le persone che hanno diritti universali insopprimibili nel lavoro».Quindi il vostro giudizio negativo sul Jobs act del Governo Renzi non è mutato? «Se qualcosa di positivo avviene nel mercato del lavoro lo si deve, come confermano gli ultimi dati Inps forniti dall’Inps, all’enorme massa di incentivi erogati. Lo dimostrano i dati: nel primo trimestre 2016 le assunzioni a tempo indeterminato sono s tate il 77% in men o rispetto allo stesso periodo del 2015, mentre il ricorso ai voucher è cresciuto del 45%. Mi pare che il famoso messaggio del governo “ora arriviamo noi, sparirà il precariato e tutto cambierà in meglio” si sia dimostrato una clamorosa bufala, peggiorativa anche delle condizioni degli outsider».In questo quadro il Mezzogiorno come è messo? «Basta guardare ai tassi di disoccupazione giovanile, al calo delle iscrizioni all’università, al tasso di scolarizzazione. Al Sud si rischia di perdere la speranza, anche perché le politiche d’industrializzazione faticano ad imporsi e i fondi europei non vengono finalizzati a progetti di sviluppo e inclusione sociale».Tuttavia una settimana fa la camera di commercio di Bari e Bat offriva dati incoraggianti sul saldo della natalità-mortalità delle imprese: si deve ancora parlare di Sud a macchia di leopardo? «Come tutto il Paese. Anche tra Sondrio e Varese, per fare un esempio, le dina miche economiche son o differenti. Tuttavia i singoli dati non possono nascondere i tratti comuni all’area meridionale di cui dicevamo, a cominciare da quelli sull’occupazione giovanile. Lì dove si registra maggiore vivacità ciò dipende quasi sempre dalle politiche delle singole Regioni e dalla presenza di imprese che investono».Al Sud è basso anche il tasso del lavoro femminile: perché? «Una delle ragioni è certamente l’insufficiente creazione di lavoro. Poi incidono anche il part time obbligatorio spesso imposto alle lavoratrici, i molti pregiudizi che ancora accompagnano l’occupazione femminile e le politiche economiche sbagliate: invece di costruire asili e considerarli investimenti, si elargisce un bonus be bé. È anche una questione culturale: non si è ancora compreso che il lavoro femminile è di per sé generatore di sviluppo».Due questioni di grande impatto per l’economia meridionale: Ilva e Fiat. Per la prima, men tre si attende di capire chi l’acquisirà, la Ue ha messo sotto accusa l’Italia, per inadempienza nella difesa ambientale. Quanto alla seconda i dati di Melfi e Pomigliano d’Arco inducono ad un certo ottimismo sul futuro dei due siti industriali. Che ne pensa? «Ribadiamo ciò che abbiamo detto: bisogna risanare l’Ilva che deve continuare a produrre. Quanto al bando per la cessione dell’azienda, ripetiamo che è carente, non parla di difesa dell’occupazione e dell’integrità del gruppo. Penso che su un settore strategico come l’acciaio debba esserci la disponibilità all’intervento “pubblico”, facendo anche una battaglia dentro una Ue poco attenta a politiche di sviluppo».Quanto alla Fiat si può dire che la ricetta Marchionne funzioni? «Grazie allo sbarco in Usa e ai finanziamenti lì ricevuti la Fiat è stata in grado di dedicarsi alla produzione industriale e alla creazione di lavoro e speriamo che continui perché siamo ancora lontani dalla piena occupazione di tutti i suoi lavoratori. In ogni caso non è quello che ha determinato la rottura operata dal management nelle relazioni sindacali e l’uscita da Confindustria. Per non parlare dell’abbandono dell’Italia operato da Fca».La Cgil cosa suggerisce per far ripartire il Mezzogiorno? «Da tempo abbiamo avanzato proposte alle Regioni e al governo con un documento firmato anche da Cisl, Uil e Confindustria. A nostro avviso servono politiche sociali adeguate perché asili, scuole, servizi sono generatori di lavoro. C’è poi il te ma della qualità delle produzioni, in particolare nel settore dell’agroindustria, quello della trasformazione in industria del turismo e della valorizzazione territoriale e culturale. Pensiamo sia necessaria una visione di lungo periodo che sappia indirizzare gli investimenti e l’azione degli attori economici».Intervista: Camusso, Sud in declino. Così perde la speranza
23 maggio 2016 • 09:05