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Roma, 30 gennaio – “Nel 2024 solo 3760 donne potranno usare Ape sociale, quota 103 e opzione donna: si azzera di fatto qualsiasi forma di flessibilità in uscita, costringendole al pensionamento di vecchiaia a 67 anni. Le donne, soggetti più colpiti dalla legge Monti-Fornero, continuano ad essere le più penalizzate con le scelte del Governo Meloni, che fa cassa sulle loro pensioni”. È quanto dichiara la segretaria confederale della Cgil, Lara Ghiglione.
L’Ufficio politiche previdenziali della Cgil nazionale, in uno studio in cui si analizzano le misure della legge di bilancio 2024 e in cui si elaborano i dati del monitoraggio dei flussi di pensionamento dell’Inps, evidenzia infatti che “nonostante i continui proclami e le tante promesse del Governo, le donne esonerate dalla Legge Fornero saranno pochissime”. Nel dettaglio, come spiega il responsabile delle politiche previdenziali della Confederazione, Ezio Cigna, “’quota 103’ è una misura praticamente inutile che riguarderà solo gli uomini, perché coloro che perfezionano 41 anni di contributi e 62 anni di età nel 2024, hanno già perfezionato i requisiti di Opzione donna al 2021, ossia almeno 35 anni di contribuzione e 58 di età. Quindi nessuna donna avrà accesso alla nuova quota. Per quanto riguarda Opzione donna 2024 – prosegue – secondo le nostre stime riguarderà solo 250 donne: il Governo aveva promesso di riportare la misura ai requisiti previgenti, ma è riuscito invece a peggiorarla con l’aumento del requisito di età di un anno (da 60 anni a 61 entro il 31 dicembre 2023) e l’azzeramento previsto nella scorsa legge di bilancio. Stessa cosa su Ape sociale, dove l’aumento dell’età necessaria passa da 63 anni a 63 anni e 5 mesi e impatterà in particolare sulle donne. solo 3.510 potranno usufruire di questo strumento, delle 9.000 domande complessivamente stimate”.
“Il monitoraggio dei flussi di pensionamento conferma una accentuata e costante penalizzazione delle donne”, sostiene Lara Ghiglione. “Gli effetti delle misure previdenziali messe in campo, in particolare legate all’azzeramento della flessibilità in uscita e al taglio per i pubblici, colpiscono soprattutto le donne, come si può vedere dalla forte contrazione delle pensioni anticipate liquidate, che passano da 107.520 a 29.556, secondo le nostre stime. Un calo significativo, pari al 72,5% tra il 2022 e il 2026”, commenta Cigna. “Anche dal punto di vista degli importi degli assegni l’Inps certifica evidenti diseguaglianze: se quelli degli uomini crescono leggermente, per le donne diminuiscono del 17%. Per quanto riguarda le pensioni anticipate, considerando il valore mediano, c’è una differenza di 353 euro: si passa dalle 2.111 euro degli uomini alle 1.758 euro per le donne”.
Secondo la segretaria confederale della Cgil “per rimuovere le attuali disuguaglianze è necessario creare occupazione di qualità per le donne, quindi stabile e a tempo pieno, abbattere i divari retribuitivi e approvare una riforma complessiva dell’attuale sistema pensionistico, che riconosca le diverse condizioni delle persone, a partire da quelle di genere, e sani il gap dovuto a carriere discontinue e bassi salari, garantendo il riconoscimento del lavoro di cura prestato in ambito familiare, che, purtroppo, anche a causa degli scarsi investimenti in welfare, è ancora quasi esclusivamente a carico delle donne”.