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Si sono susseguite indiscrezioni di stampa, su ipotesi relative alla nuova misura di contrasto alla povertà che sostituirà il Reddito di Cittadinanza, e relative smentite da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
In attesa di poter valutare un testo che abbia una qualche ufficialità, è comunque importante esprimere alcune prime considerazioni su quanto trapelato sia nel merito sia nel metodo relative al nuovo strumento di contrasto alla povertà che potrebbe chiamarsi “MIA”, acronimo di Misura di inclusione attiva.
Sul merito, risultano almeno tre questioni fortemente critiche.
La prima riguarda la forte riduzione della platea dei beneficiari per effetto della riduzione della soglia di ISEE (da 9.360 euro a 7.200 euro) per accedere alla misura che determinerebbe una riduzione di un terzo del numero dei beneficiari, a fronte della necessità, invece, di adeguare soglie e benefici all’inflazione e all’aumento del costo della vita registrato negli ultimi mesi.
Secondo: si divide la platea della popolazione in condizione di povertà in due gruppi (nuclei con minori, disabili e persone +60 anni, e tutti gli altri ritenuti “occupabili”) distinguendo non solo i percorsi e la presa in carico, ma anche l’ammontare e la durata dei trattamenti tra non occupabili e occupabili. I primi avranno un importo massimo mensile di 500 euro per 18 mesi, rinnovabili dopo 1 mese di sospensione. I secondi avranno un beneficio massimo di 375 euro mese per 12 mesi, rinnovabili solamente per ulteriori 6 dopo un mese di sospensione.
Per entrambe le platee, inoltre, sembra venire meno il contributo abitativo incluso nel Rdc (fino a 280 euro al mese). Si passa, quindi, da uno strumento universale di contrasto alla povertà a una misura categoriale.
Terzo aspetto: la riduzione della platea dei possibili beneficiari, cui si aggiunge quella di importi e durata della misura determinano così una forte diminuzione delle risorse complessive destinate al nuovo strumento, stimata in 2-3 miliardi in meno rispetto a quelle previste per il Reddito di Cittadinanza. In sostanza, in un Paese con milioni di persone in condizioni di povertà e con i redditi erosi da un'elevata inflazione, si fa cassa sui poveri.
A queste principali questioni di merito, si aggiungono poi altri aspetti critici, come i nuovi parametri ipotizzati per stabilire la congruità della offerta di lavoro da accettare, pena la decadenza, per gli occupabili, che potrà essere ricompresa nella provincia di appartenenza e in quelle limitrofe, aumentando per molti quindi il raggio massimo di 80 km oggi previsto.
Positiva la riduzione da 10 a 5 anni di residenza in Italia per accedere alla misura, atto dovuto, e forse insufficiente, per rispondere alla procedura di infrazione della Commissione Europea che aveva evidenziato come tale requisito fosse discriminante per i migranti.
Sul metodo, il Governo non ha avviato finora nessun confronto con le Organizzazioni Sindacali né con l’Alleanza contro la Povertà: sarebbe davvero grave se i provvedimenti istitutivi della nuova misura dovessero essere adottati senza nessun confronto o interlocuzione con il Sindacato e le forze sociali.
La povertà è un fenomeno complesso che deve essere affrontato in termini multidisciplinari perché non dipende solo dal disagio economico o lavorativo - basti pensare alla povertà educativa o al disagio abitativo - e alla sua multidimensionalità si deve dare risposta.
Serve quindi una presa in carico complessiva per contrastare e prevenire disagio, povertà e rischio di esclusione. Quello che il Governo sembra non avere nessuna intenzione di fare.